Quante volte un gay picchiato non ha trovato il coraggio di denunciare i suoi agressori? Quante volte noi stessi non abbiamo risposto alla violenza verbale? A Pisa, a distanza di pochi giorni, due casi finiti sulla stampa nazionale hanno riportato alla ribalta l’importanza di ribellarsi ai soprusi. Più spesso di quanto sembri ribellarsi paga.
“Possibile non capirsi così?”
24 giugno 2001 Pisa. La loro è una ‘normale’ storia d’amore gay. Il più giovane ha diciannove anni, il più adulto ne ha trentatré. Il primo a causa di alcuni dissidi con i genitori a seguito di un coming out difficile decide d’impulso di trasferirsi a casa del secondo tanto la situazione era diventata insostenibile. Il diciannovenne ricorda che gli impedivano di uscire e che lo avevano privato del computer che gli permetteva di tenere i contatti con i suoi amici gay. Quella sera, però, accadde l’inverosimile.
Il padre del giovane e tre amici di famiglia si presentano presso l’abitazione dove i due fidanzati con intenti a dir poco bellicosi. Con ‘le buone’ cercano di convincere il giovane a tornare a casa senza peraltro riuscirci. Passano ‘alle cattive’ come ricorda il diciannovenne in un articolo pubblicato dal quotidiano “La Repubblica”: “Mi voleva portare via con la forza, mi avevano già caricato sulla macchina, lui e altri tre amici di famiglia, poi non so dove ho trovato la forza per divincolarmi e scendere giù, mi sono messo a correre, ho fatto il giro dell’isolato, chiedendo aiuto, e mi sono rifugiato nell’ingresso del condominio. Lui è arrivato e ha sfondato la porta. S’è ferito al viso e alla coscia. Io impietrito. Dalla paura, sì. Ma anche da tutto il resto che franava giù. Lo guardavo e mi dicevo: possibile essere arrivati a questo? Possibile non capirsi così? Io ai miei ho detto la verità, sono omosessuale, ho un compagno e ci sto bene, sono finalmente felice con qualcuno, e loro che non riescono a capirmi, che non mi conoscono, neanche mi ascoltano”. Qualcuno chiama la polizia che interviene con due volanti.
La vicenda si chiuderebbe qui: la ribellione di un figlio e la reazione impulsiva e violenta del padre e la sofferenza di entrambi, lontani e separati da un muro di silenzio.
E invece no. Il coraggio del giovane, questa volta, ha pagato e dopo un periodo trascorso dal fidanzato è tornato a casa in un clima completamente diverso rispetto a quello che aveva abbandonato.
Lo contattiamo telefonicamente e ci racconta “sono tornato a casa, la situazione è cambiata e ora va tutto molto meglio. Sentivo la mancanza dei miei genitori e ho sempre avuto con loro un buon rapporto. C’erano state sì una serie di incomprensioni e avevo deciso di vivere per conto mio. Avevo mollato tutto e loro stavano davvero male. Per tutti quanti mio padre, mia madre, mia sorella e per me stesso principalmente, mi sono detto che la cosa migliore era quella di tornare a casa.
Ora sto bene a casa e sono tranquillo. La mia paura era quella che una volta tornato mi avrebbero un po’ chiuso e limitato nel condurre la mia vita, come facevano prima che me ne andassi di casa. E invece mi hanno detto ‘E’ finita la scuola se lavori puoi fare quello che ti pare che tu sia etero o gay devi essere autonomo, la tua vita è la tua vita’”.
Essersi ribellato ad una situazione insostenibile, grazie anche al supporto del fidanzato e dell’Arcigay di Pisa a cui il diciannovenne è iscritto, e ha vinto. La sua famiglia ha deciso di accettarlo per quello che è. Senza condizioni.
Ma come ribellarsi ad una situazione insostenibile? Il diciannovenne consiglia di “Dichiararsi perché da quando mi sono dichiarato – aggiunge – sto bene e sono veramente sereno. Non devo più raccontare ‘balle’ e poi starci male. A me raccontarle non riesce. Poi uno deve guardarsi dentro e valutare la situazione. Io ho agito d’impulso ma se ci si accorge di aver sbagliato si può tornare indietro. La ribellione nel mio caso ha sicuramente pagato. Sono un tipo tranquillo e il fatto che abbia trovato il coraggio di mollare tutti ha sorpreso i miei che probabilmente hanno valutato meglio il significato del mio essere gay. Ora va tutto molto meglio…”.
“Ricchioni andate via da Torre del Lago. Avete rovinato il paese”
Il secondo episodio è avvenuto il 19 Giugno 2001, a Torre del Lago. Apparentemente ha un finale meno idialliaco (i colpevoli sono rimasti ignoti), ma il clanmore suscitato dalla notizia sui mass-media della denuncia delle vittime ha creato un efficace clima di dissuasione, e le minacce non si sono ripetute. Ecco i fatti.
E’ circa mezzanotte e tre giovani gay stanno percorrendo Viale Europa, una strada sterrata, per recarsi in spiaggia ad una festa.
Tre individui dell’apparente età di venticinque anni escono, nel buio, da una siepe e si avvicinano minacciosi. In un attimo il finimondo. Senza motivo alcuno, gli individui, incominciano ad apostrofare i gay con insulti pesanti. Oltre ad insulti come il ‘sempreverde’ “Finocchi di merda” piovono minacce di morte: “La prossima volta faccio venire quelli della Camorra e vi faccio ammazzare” e ancora “starebbero bene solo nei forni”. Dalle parole ai fatti il passo breve e gli omofobi aggrediscono i gay inermi a suon di calci e pugni.
Andrea, uno degli aggrediti, ricorda così quei momenti in un intervista pubblicata da Gay.it: “Stavo andando alla festa sul mare quando sono saltati fuori tre tipi da dietro la siepe che costeggia la strada. Hanno cominciato a insultarmi e hanno tentato di prendermi a calci. Li ho scansati quasi tutti, meno uno. Allora ho deciso di tornare verso il “Mamma mia” (un locale del posto) e mi hanno seguito. Qui mi hanno raggiunto. Uno di loro mi ha detto che aveva un figlio e che gli anormali come me rischiavano di rovinarglielo”. Gli altri due ragazzi non hanno trovato la forza di raccontare l’aggressione.
Giovanni, un altro giovane che assistette alla scena a qualche decina di metri, raccontava sempre a Gay.it: “hanno cominciato a urlare: ‘Finocchi di m… andate a casa vostra’ e insulti anche peggiori. Un gay ha reagito e ha replicato a uno dei due ragazzi di starsene a casa sua se non gli piaceva l’ambiente o la situazione. Così sono volate le botte”.
Mai prima di allora si era arrivati ad una aggressione a Torre del Lago anche se nel 1997 l’interruzione di una festa gay sulla spiaggia da parte di alcuni dimostranti di AN aveva mostrato quanto l’omofobia fosse radicata anche in quel luogo decisamente friendly.
Questa pestaggio sarebbe rimasta avvolta dal silenzio se i tre omosessuali aggrediti non avessero trovato il coraggio per denunciare alla magistratura l’accaduto.
Il presidente del circolo Arcigay Pride! di Pisa, Alessio De Giorgi, venuto alla conoscenza del fatto ha dichiarato alla stampa: “se ci sarà un processo Arcigay si costituirà parte civile. Siamo preoccupati perché non erano mai successe aggressioni ai gay a Torre del Lago. Noi da tempo puntiamo sull’integrazione perché non ci va di sentirci chiusi nel ghetto di viale Europa. Ma vogliamo anche avere un posto dove poter stare tranquilli, senza rischiare di essere picchiati. Come avviene, invece, quando si mischia gente diversa fra la quale si nasconde chi vuole sballare a tutti i costi. Uno degli aggressori era ubriaco”.
Abbiamo interpellato sul seguito della vicenda il legale di Arcigay Ezio Menzione, famoso avvocato omosessuale dichiarato da sempre in prima linea nella lotta per i diritti degli omosessuali. “Purtroppo – dichiara – la denuncia depositata dai tre omosessuali è contro ignoti e quindi è molto difficile che abbia un seguito. E’ successo un caso simile a Pisa tre anni fa di cui poi non si è saputo più nulla. N’hai voglia che il magistrato si muova se non gli dai il nome e cognome dell’aggressore!”.
Nessuna novità quindi, come al solito gli aguzzini degli omosessuali restano impuniti.
E invece no, finalmente le vittime gay hanno trovato il coraggio di ribellarsi e hanno anche dichiarato alla stampa che “Sarebbero in grado di riconoscere i loro aggressori”.
Credete che i tre omofobi si ripresenteranno a Torre del Lago ad infastidire gli inermi ‘finocchi’ con una denuncia che pende sul loro capo?
I due casi di pisa rivelano un cambiamento? Il commento di Franco Grillini
Io credo proprio di sì. Questo è stato il vero cambiamento degli ultimi vent’anni. E’ chiaro che dipende dalla situazione generale che è mutata un po’ in tutto il mondo, ma l’azione degli omosessuali visibili e delle organizzazioni gay italiane ha avuto l’effetto di fornire una presenza costante e continua di strumenti di identificazione positivi ad una omosessualità di cui non ci si deve più vergognare.
Questo è il risultato assolutamente più eclatante perché non abbiamo ottenuto risultati clamorosi in termini di modifiche delle riforme istituzionali e, ad esempio, i finanziamenti per la lotta all’AIDS sono stati ridicoli.
Il cambiamento che abbiamo ottenuto è stato culturale e va rinvenuto sia nel modo in cui la popolazione pensa l’omosessualità sia nel modo che hanno gli omosessuali di vedersi. Se si riflette sui giovanissimi siamo riusciti in una operazione indiretta, grazie ai mass-media, di un’educazione positiva delle nuove generazioni che ha portato molti a fare gesti come quelli di Torre del Lago o di questo ragazzo che ha trovato nel suo compagno e nell’Arcigay di Pisa un supporto valido per affrontare la sua famiglia. Di più, la mia opinione è che, andando avanti abbiamo bisogno di meno sparate ideologiche da parte delle associazioni e di più servizi come, per esempio, per coloro che sono stati cacciati di casa o coloro che si vogliono difendere dalle malattie a trasmissione sessuale o, ancora, sevizi socio assistenziali, servizi di accoglienza, e telefoni amici. Su questo si gioca la partita del futuro dei gay. (Pubblicato originariamente in “Pride”, ottobre 2001).
E’ assurdo che a delle persone importi cosi tanto dei comportamenti altrui.
Cosa ci perde uno se un altra persona è gay?
Purtroppo molte persone hanno scarsa indipendenza di pensiero, e per confermare i loro dogmi devono dimostrarsi fanatici in modo da convincere loro stessi e gli altri che questi dogmi sono validi, altrimenti loro stessi smetterebbero di crederci.
Il problema della società in generale (e dico qualsiasi società, non solo quella italiana, anche tutte le altre società di questo mondo) è che non viene promosso il giudizio indipendente.
Io sono sicuro che se non ci fossero la chiesa e i politici a spargere queste discriminazioni contro i gay, nessuna persona, pensando con la sua testa direbbe ”essere gay è sbagliato”.
Purtroppo però il problema di questo mondo sono i gruppi.
Da quando è nata la civiltà, il progresso culturale e scientifico è costato un caro prezzo alle persone: l’ aderenza a dogmi preconfezionati e la rinuncia al pensiero individuale.
Freud scriveva nel suo saggio totem e tabu che dio è una reminescenza del padre dell’ orda primigenia.
Spiego in breve: a quei tempi vi erano dei branchi comandati da un capobranco maschio, che teneva tutte le femmine per se e in questo modo impediva ai membri del branco di accoppiarsi.
Poi però succedeva che a un certo punto il branco si ribellava e lo uccideva, eleggendo a nuovo capobranco chi aveva inferto il colpo migliore.
Questa cosa succede tutt’ ora nei branchi di animali.
Per esempio le iene (nei cui branchi comanda però la femmina) a un certo punto si ribellano alla ”regina” del branco e chi ha inferto il colpo migliore diventa la nuova regina.
Ecco, un capobranco da solo non può comandare troppi membri.
Ne potrà comandare 50, al massimo 100… se però viene costruito un mito basato sul senso di colpa verso il vecchio capobranco ucciso, in questo modo i branchi si possono estendere e possono essere controllati piu membri dal capobranco.
Questo è come è nata la civiltà.
Per tenere unita la civiltà serve un capobranco che impone a tutti gli altri di rinunciare al loro pensiero individuale nel nome del senso di colpa.
Bene o male questo mito è presente anche nelle democrazie, anche se non viene imposto ma viene usata la propaganda (tv, ,media).
Lo spargimento di questo mito (che contiene stereotipi di genere, contro i gay, contro gli immigrati, idee dogmatiche) serve a reprimere l’ indipendenza di pensiero e tenere unite le persone (sotto il comando del capobranco si intende).
Sperò che arriverà un tempo in cui non sarà piu necessario aderire ciecamente a dogmi per far parte di un gruppo.