Mercoledì ore 9, aula d34, lezione di letteratura italiana gay. Non siamo in un ateneo americano, tedesco, olandese o inglese, tutti dotati da anni di cattedre sull’omosessualità, ma nell’italianissima Università di Tor Vergata a Roma, unico ateneo italiano ad osare un corso semestrale sull’omosessualità. Il professor Francesco Gnerre racconta la nascita della letteratura gay a partire da Dante e Boccaccio in una prospettiva mai stata sfiorata nelle aule universitarie. Almeno una trentina di studenti ascoltano e prendono appunti, ognuno relazionerà alla classe una breve tesina (oggi una studentessa parlerà dell’omosessualità nell’opera di Severini, un romanziere gay), e, per l’esame, leggeranno un romanzo pescando tra i pilastri della letteratura gay statunitense (White, Cunningam e Leavitt) o gli italiani Golinelli, Matteo B. Bianchi e altri.
L’esperimento, ormai biennale, riempie di orgoglio il professor Gnerre: “All’esame arrivano tutti molto preparati tanto che do quasi tutti trenta, vedo solo i maschietti un poco più imbarazzati”.
Nel panorama accademico italiano il corso di letteratura italiana gay, nella sua unicità, è eccezionale, ma l’omosessualità si affaccia sempre con più insistenza negli atenei trovando spazio sopratutto a lezione. I docenti, vuoi più giovani o più attenti al dibattito pubblico, non hanno remore ad affrontare lo spinoso argomento, censurato o eluso come “non accademico” almeno fino ad una decina di anni fa.
All’Università la Sapienza di Roma, nella sede distaccata di Cassino, Chiara Lalli, trentenne docente a contratto che ha appena pubblicato per Il Saggiatore Buoni genitori una inchiesta sulla genitorialità gay, ne parla nientemeno che nel corso di Epistemologia delle scienze umane. “Ne ho discusso recentemente a degli studenti di comunicazione pubblica e d’impresa . Il concetto di “contro natura” è perfetto come esempio per spiegare quanto i luoghi comuni siano spacciati per argomentazioni. Argomentazioni ridicole. Dove posso, parlo anche di discriminazioni e diritti e, quest’anno, anche di terapie riparative. Per l’esame ben quattro studenti hanno lavorato su questo. La risposta è molto positiva”.
All’Università di Bergamo, Fabio Cleto, docente di letteratura inglese e storia della critica, affronta tematiche relative al genere e alle sessualità periferiche: “Gli studenti sono interessati e partecipano. Anche per colleghi e superiori discutere di omosessualità è diventato neutro. Solo fino a qualche anno fa, per esempio, mi si diceva che il camp non è un argomento accademico. L’Istituzione universitaria non censura più l’omosessualità, al massimo è resistente ai cambiamenti ed uno che ne parla può essere considerato eccentrico”. Gli eccentrici però incominciano ad essere molti, troppi per rappresentare un’eccezione.
Sarebbe eccentrico a Milano, in Bocconi il professor Luca Massimo Visconti che nel corso Consumer Culture Theory tiene una lezione su “Orientamento sessuale e consumo”.
Da Milano a Cosenza l’omosessualità riappare nelle lezioni di costruzione sociale delle differenze di genere della sociologa Donatella Barazzetti per tornare a Bergamo negli insegnamenti di Filosofia del diritto del professor Persio Tincani.
All’Università di Cremona, nel 2004, un semestre di drammaturgia musicale è stato dedicato interamente agli studi di genere mentre a L’Aquila Massimo Fusillo da molto spazio ai gay studies nell’introduzione di Teoria della letteratura: “I gay studies sono interessanti tra i nuovi approcci di analisi letteraria e spiego come si sia passati da una fase di riscoperta degli autori gay ad una fase di analisi di come gli autori non gay che rappresentano l’omosessualità. In corsi monografici mi è capitato di affrontare i temi dell’omosessualità latente e manifesta. Ho suggerito la lettura di “Petrolio” di Pasolini nonostante il sesso molto esplicito che descrive”.
A questi docenti si aggiungono nomi noti, per i loro saggi o testi sulla questione gay, come Chiara Bertone, dell’Università degli Studi del Piemonte orientale e Asher Colombo a Bologna, Vittorio Lingiardi alla Sapienza e numerosi altri di cui sarebbe impossibile rendere conto tanto il mosaico è vasto.
E’ evidente che la maggior facilità con cui si discute di omosessualità in università segna innegabilmente un punto di non ritorno: la questione gay è entrata le università, cuore del dibattito culturale e formativo italiano. E piace. Piace all’Università di Padova che pubblica, a ripetizione, saggi sui geni gay all’Università di Udine che finanzia il libro “Le unioni tra persone dello stesso sesso” (edizioni Mimesis) a quella di Trieste che organizza un corso di formazione post universitario a Psicologia su Identità, orientamento sessuale e welfare state. Ma niente trionfalismi.
Davide Daolmi professore di Storia della musica alla Statale di Milano, è scettico: “La cultura italiana non è molto disponibile ai gay studies, l’alibi è quello di rifiutare una spazio protetto, ma in realtà permane un disagio verso questi temi”. Conferma Cleto: “L’università italiana, non è pronta per un corsi istituzionali sull’omosessualità. Non è un caso che ne faccia uno Gnerre che non viene dall’Accademia. Le più grandi resistenze a parlare di omosessualità sono però nei colleghi gay di un certa età, gli ordinari di sessanta settant’anni, cresciuti in una cultura del detto non detto ”.
Ma in università c’è un’altra importante novità: la visibilità gay guadagna terreno e oggi è persino compatibile con una serena carriera universitaria.
Daolmi spiega “In università è cambiato il clima, non è un mistero che sia gay e non ho mai avuto problemi per questo. Colleghi gay più anziani hanno avuto in passato difficoltà e autocensure sopratutto interiori. Sono più pessimista su di una evoluzione generale. I miei studenti non mi sembrano più consapevoli di quanto non fossi io 20 anni fa”.
Anche Daniela D’Anna, ricercatrice in Sociologia a scienze politica all’Università degli studi di Milano, è visibile: “tutti sanno che sono lesbica, anche per i saggi che ho pubblicato, ed è tutto tranquillo. L’omosessualità è filtrata in università, se ne parla a lezione ed è trattata nei manuali”.
Nessun problema nemmeno per Francesco Bilotta, docente di Diritto privato all’Università di Udine e degli avvocati per i diritti gay della rete Lenford: “Sono visibile con studenti e colleghi, dov’è il problema? Se ne parla con estrema serenità. L’università sta evolvendosi”.
Ed in effetti la visibilità matura anche tra dottorandi e studenti.
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All’Università di Cremona la visibilità gay è di casa per Stefano Aresi, presidente del circolo di cultura omosessuale Harvey Milk di Milano e dottorando di ricerca in musicologia: “Ci sono un numero crescente di studenti, dottorandi, talora docenti, visibili in una facoltà, che ha sempre avuto, a mia memoria, un numero notevole di iscritti gay. Non ho mai subito discriminazioni dirette: vivo da dichiarato anche la mia vita accademica, con tanto di personale di segreteria che si informa se ho trovato il ragazzo giusto. Gli unici a sembrare a disagio sono, come ovvio, alcuni studenti velati”.
Le sollecitazioni gay all’università non si fermano qui e quando gli omosessuali bussano agli atenei trovano sovente le porte aperte, persino ai matrimoni gay.
L’Università statale di Milano, nel giugno scorso, ha ospitato una tavola rotonda proprio sul matrimonio omosessuale organizzata dal Milk, dalla rete Lenford in collaborazione con il Centro interdipartimentale studi e ricerche “Donne e differenze di Genere”.
Tra i relatori Patrizia Borsellino (Università Bicocca): “Le unioni tra persone dello stesso sesso rispondono all’articolo 2 e 3 della nostra Costituzione che preclude ogni distinzione di sesso”, Paola Ronfani (Statale Milano) che nel suo intervento ha sostenuto che il matrimonio gay rappresenterebbe “l’allargamento secolare dell’uguaglianza e della non discriminazione” e Davide Galliani (Università degli studi di Milano) che ha offerto speranze sulla pubblicazioni di matrimonio delle coppie gay: “Non sono vietate ma nemmeno permesse esplicitamente” e numerosi altri docenti da tutta Italia. In sala 200 ascoltatori, un successo, se si pensa che alle tavole rotonde accademiche se ne presentano al massimo una decina.
Anche l’Università di Pavia ha ospitato nelle sue sale (addirittura in Aula magna) due diverse conferenze sui diritti degli omosessuali organizzate dal Comitato promotore locale di Arcigay mentre l’Università di Trento ha offerto spazi, nel maggio scorso, in collaborazione con il tavolo lgbtq locale, ad un festival di tre giorni, Universinversi, tra lezioni, seminari e conferenze.
Anche dall’altra parte delle cattedre ci sono numerose novità.
“I miei studenti – racconta Bilotta – quando hanno appreso della notizia che il Tribunale di Venezia ha chiesto alla Corte di Cassazione di pronunciarsi sul matrimonio gay hanno applaudito”.
L’interesse verso l’omosessualità da parte degli studenti è palpabile nelle decine di tesi di laurea che ogni anno vengono discusse nei più disparati atenei. C’è chi indaga “la cultura gay on-line”, chi gli “aspetti psicodinamici dell’omogenitorialità”, chi esplora “il significato del suicidio nella popolazione omosessuale” e chi, più coraggioso, si addentra tra i “Caratteri della Soggettività lesbica in provincia di Salerno”. Gli elaborati sono discussi di fronte ad una commissione di docenti e ad amici e parenti che, volenti o nolenti, si sorbiscono una sana lezione accademica di omosessualità. Che non fa mai male…
Le tesi gay migliori sono premiate annualmente dal Dee Gay Project di Roma mentre Arcigay “Pegaso” Catania mette a disposizione una borsa di studio da 2500 euro alla miglior tesi a tematica.
Insomma il lavoro di decine di studenti che si spremono le meningi sull’omosessualità, ne discutono con i coetanei, i docenti e con le famiglie, approfondiscono nelle biblioteche darà certamente buoni frutti nell’immediato futuro.
Per ora i saggi pubblicati sono scarsi e i lavori restano dimenticati negli scaffali delle biblioteche degli atenei. Federico Cerminara, responsabile cultura di Arcigay, ipotizza “una rete tematica per le università italiane per promuovere e diffondere gli studi sull’omosessualità che ormai sono innumerevoli”.
Meno recettivo pare l’associazionismo studentesco. I gruppi nazionali sono davvero poco attenti alla questione gay. C’è qualche adesione alle campagne per i diritti da parte di Sinistra universitaria, gruppo studentesco vicino al Pd, sopratutto dall’Università di Bologna, mentre a destra Azione universitaria aveva lanciato, ma solo via comunicato stampa una campagna nazionale “Dico No”, contro una legge per le unioni civili. A sorpresa e coraggiosamente la Fuci, Federazione universitaria cattolica italiana, elogiata di recente da Benedeto XVI per la “formazione di intere generazioni di cristiani esemplari”, ha recentemente lanciato un sasso nello stagno con l’incontro “Omosessualità: dialogare si può” all’Università di Ferrara. Nessuno ha commentato.
A movimentare la scena però ci sono alcuni gruppi gay studenteschi concentrati sopratutto a Milano come il Kob, Collettivo omosessuale Bicocca, GaypoliMi del politecnico, e lo Yag dello Iulm (ora chiuso, ndr.), una facoltà privata e il Best in Bocconi a Milano.
Tra i gruppi milanesi sta facendo rumore il neonato GayStatale che in pochi mesi ha fatto parlare di sé: “Abbiamo un centinaio di iscritti, sono davvero tanti, e ai ritrovi siamo almeno una ventina. Pensa che alcuni sono della Cattolica e di Brera”, spiega Enrico Guerini tra i fondatori del gruppo.
“Per ora abbiamo fatto banchetti in università e partecipato alle iniziative di movimento per farci conoscere. Abbiamo già avuto uno scontro con quelli di Obiettivo studenti, una lista che fa capo a Comunione e liberazione. Ci strappavano i volantini e li abbiamo colti sul fatto, ci hanno insultato e abbiamo denunciato il fatto alla stampa. A settembre si ricomincia e se arriva qualche finanziamento faremo un cineforum e un ciclo di conferenze”.
Alla fine di questo esame l’università italiana passa l’esame omosessualità?
Di misura, tra docenti visibili, lezioni gay e studenti impegnati. Mancano corsi specifici, di recente due testi universitari omofobi hanno fatto discutere la stampa nazionale, permangono resistenze e baronati invisibili e gli studi gay pubblicati sono purtroppo scarsi. Per la lode la strada è ancora molto lunga, ma almeno è incominciata. (pubblicato in “Pride”, n. 123, settembre 2009, pp. 13-15)