Roma. Due ragazzi: gli sguardi si incrociano, un bacio, un altro, una carezza. Nulla accade. Io e lui, una coppia gay qualunque, in un Trastevere che scoppia di gente nel primo sabato dopo il grande rientro, a godere la movida notturna. Un chitarrista improvvisato attacca un pezzo americano, qualcuno canta. Nessuno sembra notarci, è l’esibizione di un mimo poco più in là a scatenare attenzioni ed emozioni.
L’appuntamento, poche ore fa, alla Balduina, primissima periferia, poi via, mano nella mano verso il centro, a sfidare la temperatura impossibile. C’è il fiorista, il benzinaio, un barista che fuma distrattamente: ci osservano e distrattamente tornano ai loro pensieri. Una passante – avrà almeno ottantant’anni – ci incrocia mentre è piegata dalle borse della spesa: guarda un istante e passa oltre. Nessuna sorpresa, nessun imbarazzo. In un parchetto, parcheggio di anziani e badanti, ci accoccoliamo su una panchina: nemmeno un cane al guinzaglio ci degna di interesse.
Più sorprese appaiono due teste rasate, lucide al sole come abbaglianti, che ci intercettano poco fuori da una stazione della metropolitana.
Le nostre mani si serrano, l’idea che la loro sia solo una scelta estetica non aiuta a dimenticare l’orribile settimana che abbiamo alle spalle: due bombe che hanno scatenato il panico nel cuore della gay street, un accoltellamento al Gay village, un incendio al Muccassassina, un’aggressione per strada e quell’allarme omofobia nella Capitale che ti tiene costantemnete sul chivalà.
Eppure gli skins ci osservano, si scambiano un commento all’orecchio e passano oltre senza battere ciglio. E’ solo perché siamo in pieno giorno? Oppure perché ci sono troppi testimoni? O perché sono teste rasate non troppo rasate? La metropolitana inghiotte le nostre domande. Dei due, sono io il più timoroso: l’omofobia c’è, è quotidiana, colpisce ovunque, anche se fortunatamente solo nella sua espressione più acuta e rara arriva alla violenza fisica. Invece Paolo è spavaldo dall’alto dei suoi vent’anni: “Non mi è mai accaduto nulla, girando mano nella mano”.
Ci sediamo sulla banchina del metro, le braccia al collo, le mani ancora unite, scambaindoci un bacetto sulla guancia; si avvicina una matrona, sacchetto della spesa con un arcobaleno (proprio come la bandiera gay), ricrescita bionda, occhialoni scuri a mo’ di cerchietto per i capelli. Si siede esattamente e distrattamente accanto a noi mentre continua il nostro tubare, e lei si mosta solo un poco più curiosa, ci osserva con attenzione, né disgustata né stupita, forse un poco intimidita. Un bimbo alza gli occhi poi torna rapito alle geometrie dei binari.
E’ pieno giorno e nulla accade neppure a Piazza del Popolo, mente ce ne stiamo abbracciati sui gradini delle Chiese gemelle, insieme a qualche “emo”, post punk, dark, minoranze metropolitane, diversi tra diversi.
Lui mi parla all’orecchio, mi mordicchia, ripete esattamente gli stessi gesti di affetto delle decine di coppie etero di tutte le età che fendono la folla dello struscio godendosi il pomeriggio. Ci distrae la vetrina di un gioielliere con le fedi esposte, ma non possiamo permettercele, e non per il costo.
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Entriamo al Mc Donald allacciati in vita, ordiniamo stringendoci, ci sediamo e scambiamo patatine e bacetti. Ci sentiamo un po’ idioti, stiamo esibendo troppo miele, ma ci tranquillizza una coppia etero che evidentemente ci sta emulando ad un altro tavolino. Anche qui l’espressione degli affetti è identica. Captiamo i loro discorsi: lui per essere “perfetto” si farà aiutare da lei a stirare i capelli, questa sera. Non ci sono più gli etero di una volta, ridiamo.
In compenso ci sono gli stessi omosessuali e sono a decine, mimetizzati perfettamente nella folla più borgatara e vociante di via del Corso, dove la stessa implacabile indifferenza accoglie le nostre mani sempre unite.
Gli altri gay li riconosciamo immediatamente. A due a due, testa rasata e pizzetto, aspetto macho e barba incolta artefatta, molto in voga al momento, oppure griffati, coi capelli “pettinatissimi” e magliettine aderenti. Eppure a tenerci la mano nella mano e a sfidare la visibilità siamo gli unici due, oggi pomeriggio, e ci sentiamo soli.
Via del Corso non ci riserva un insulto, solo sguardi, niente omofobia, al massimo indifferenza, ma siamo in pieno giorno e in pieno centro. E di notte?
A Campo de Fiori troviamo una fontanella che sembra fatta apposta per giocare a schizzarci, mentre in coda molti attendono pazienti di placare l’arsura. La movida notturna è meno scatenata da quando per ordinanza la birra su beve solo al bar e per noi è ancora tempo di abbracci, si parla di domani, ci si sussurra all’orecchio dei suoi studi di medicina, e delle sue amiche lesbiche. Nulla accade.
A Piazza Trilussa gli sguardi sul nostro abbraccio stretto diventano un pizzico più insistenti, con la coda dell’occhio realizziamo che qualcuno si gira, alle nostre spalle. Eppure di quel “frocio” così comune e implacabile, e che mi aveva investito da un’auto in corsa alla serata gay Muccassassina, o che qualche mese fa ci era piovuto da un gruppo a Testaccio uscendo da una pizzeria non turba la nostra notte: le occhiate hanno solo il sapore della curiosità, mai quello del disgusto, la stessa attenzione immediata e subito distratta che si prova nell’incrociare uno sconosciuto. Nulla accade.
La movida gay ci chiama. Paolo è recalcitrante, preferisce Ponte Milvio, San Lorenzo, una panchina, un bar, una piazza o una discoteca qualsiasi. Ma proprio “qualsiasi” non può essere, purtroppo. Evitiamo infatti coscientemente di percorrere, mano nella mano, la zona dello stadio, le periferie, di avvicinarci ai fortini dell’estrema destra o alle borgate. La pelle ci è cara e sappiamo che l’omofobia fiorisce nell’integralismo politico-religioso e nel degrado culturale.
Uno “Svastichella” (soprannome dell’accoltellatore di un ragazzo gay al Gay village), può essere in agguato ovunque, ma è uno e può essere arginato o prevenuto, mentre le ore trascorse insieme ci hanno mostrato centinaia, migliaia di romani che hanno sfiorato oggi con lo sguardo il nostro affetto e rappresentano perfettamente una società civile indifferente all’orientamento sessuale e pronta alle leggi di tutela degli omosessuali.
Davanti al bar “Coming out”, nella “gay street”, ci mimetizziamo tra la folla, dove l’affetto di gay e lesbiche è finalmente visibile, e si mescola alla rabbia per le due bombe esplose qualche giorno fa. Un barista si dice preoccupato, ricorda il fumo, tanto fumo dopo le esplosioni. Un amico ci presta uno scooter, si va all’Eur, al Gay Village. C’è molta luce, la solita confusione dei parcheggi, gente ovunque. Ci tuffiamo in pista, etero, gay, lesbiche, transessuali, travestiti, le nostre mani si slacciano, possiamo incominciare a ballare. Domani saremo ancora mano nella mano a Roma, presto lo saremo ovunque. (pubblicato in “Panorama”, 3 settembre 2009 con il titolo “Diario romano di un omo qualunque”)