Antenati gay, le storie e i volti

Tre ritratti di omosessuali datati fine ‘800 gettano luce sulla vita dei nostri antenati gay

Nel febbraio 1998 prendeva definitivamente congedo da Babilonia la rubrica “Album” che pubblicò per quasi 5 anni (dal giugno 1994 all’aprile 1998) fotografie che mostravano «gay visibili e orgogliosi» nel tentativo di accrescere la visibilità degli omosessuali italiani. Osservando quei volti, a distanza di pochi anni, si riconosce il coraggio di quei Cinquecento.

Proviamo però ad immaginare cosa potrebbero pensare di quei visi i nostri posteri, per assurdo, tra un centinaio d’anni. È probabile che li osserveranno con curiosità, con le labbra increspate da un sorriso, oppure ridendo di gusto o forse anche confrontandosi e magari ritrovando in loro espressioni comuni agli omosessuali, che la storia non avrà ancora cancellato.

È possibile, al contrario, che saranno guardati con sufficienza, come qualcosa di antiquato e ormai superato; «che sfigati!», potrebbero dire i gay del futuro, sgranando gli occhi su canottiere attillate démodé o su abbronzature integrali ormai “in disuso”.

L’unico modo per provare quanto siamo andati vicino al vero con questo bizzarre ipotese sarebbe quello di poter osservare e commentare ritratti di omosessuali di cento anni fa. Impossibile.
Invece no, dalla biblioteca di un bibliofilo romano che ringrazio, emergono due fotografie ed un disegno che rappresentano i volti di tre gay pubblicate da due riviste e da un testo sul finire dell’ottocento che si prestano ottimamente quali termini di paragone.
Il primo ritratto fotografico, ormai ingiallito e macchiato dal tempo, risale al 1898 e ritrae N.M. in tutto il suo splendore queer.

Ritratto di N.M., in "Rivista mensile di psichiatria forense, antropologia criminale e scienze affini", p. 110, 1898.

Ritratto di N.M., in "Rivista mensile di psichiatria forense, antropologia criminale e scienze affini", p. 110, 1898.

Lo sguardo guarda lontano, il vestito è fieramente foggiato e il sorriso, sicuramente esagerando, ricorda quello della Gioconda anche se i lineamenti forti e marcati difficilmente poi, permettono di spingersi oltre nei paragoni.
La storia della fotografia è presto ricostruita: fu donata da N.M stesso ad un collaboratore del professor Pasquale Penta, psicologo positivista nonché direttore, tra le altre della «Rivista mensile di psichiatria forense, antropologia criminale e scienze affini» ove fu poi pubblicata a p.110 della raccolta dell’annata 1898.
Personalmente, appena ricevute quelle pagine sono rimasto insieme sbalordito e intenerito da quel volto. Non nascondo di aver sorriso di fronte all’abbigliamento indossato dall’uomo nel farsi ritrarre. Oggi usa un trucco più pesante, ma destano invidia il cappellino di piume e i due leziosi orecchini di perle. Alla curiosità è poi prevalso l’interesse professionale, e numerose domande di non facile risposta mi sono passate per la testa: come mai l’abito femminile? N.M. è omosessuale o transessuale? Come mai ha lasciato pubblicare la sua fotografia? Si tratta realmente di un individuo italiano?
Quest’ultima domanda è di pronta risposta: il professor Penta lavorava presso l’Università di Napoli e N.M. ha tratti somatici che nemmeno lontanamente potrebbe far pensare ad un finnico.
Gli altri quesiti trovano parziale risposta nell’articolo di cui la fotografia è parte intitolato Sopra un caso di inversione sessuale e redatto da Penta stesso.
N.M. indossava un abito femminile per sua precisa volontà: «non solo si è voluto far ritrarre da donna, ma negli abiti donneschi ed in atteggiamenti che meglio possono sedurre e colpire, in camicia ricamata cioè dalle larghe trine, col collo e il petto denudati e splendenti sotto il niveo candore della camicia stessa. Uguale civetteria non avrebbe forse avuta neanche una donnina di piacere». Il suo corpo, al contrario, era «del tutto maschile [e di] costituzione anatomica robusta e resistente, priva quasi completamente di anomalie visibili, con un collo ed un torace ampi, una faccia grande e piuttosto quadrata, un pugno e delle spalle forti e grosse». Il tutto “era corredato” di necessari attributi quali «barba e baffi, organi genitali maschili regolari, linee tutte accentuate e virili». Pasquale Penta nell’articolo è chiaramente disorientato dal soggetto tanto da supporre di essere di fronte ad «un corpo di uomo che alberga in un’anima di donna».
Secondo il testo l’uomo non ebbe vita facile. A dodici anni scappò da casa a causa delle violente percosse subite dal padre e trovò un lavoro di domestico che rafforzò le sue «tendenze femminili» (Non me ne vogliano i collaboratori domestici!). Nel tempo cedette alle «prime» carezze di un uomo di cui rimase «conquistato e posseduto». Questo primo passo fu «seguito da mille altri, il primo amore da molti in prosieguo e il N. è rimasto sempre un invertito ed un succube».
Se in questa sede non ci interessano le curiose ipotesi sull’omosessualità che il medico propone, è opportuno evidenziare, tra i meriti dello studioso, quello di averci tramandato questa fotografia che oggi ripubblicata ci fa sorridere e pensare che tra non molto qualcuno “sorriderà” di noi. N.M., inoltre, ci offre una lezione di coraggio nel suo proporsi ai medici quale soggetto di studi; e una lezione di orgoglio nel mostrarsi davanti all’occhio inclemente della macchina fotografica senza nascondere nulla di ciò che è. Lezioni queste, che nel silenzio italiano non dovrebbero far male a nessuno.

La seconda fotografia di cui disponiamo correda un articolo di Abele de Blasio intitolato Superstiti di Andropornii americani e pubblicato dall’«Archivio di psichiatria, antropologia criminale e medicina legale» nel 1907.

B.Al., nel testo di Abele de Blasio, Superstiti di Androporbii americani, in "Archivio di psichiatria, antropologia criminale e medicina legale, 1907.

Mostra B. Al., in abiti femminili arrestato dopo essere incappato in un «raid» della buoncostume che stava dando la caccia alle «peripatetiche». Un agente si accorse che «sotto quegli indumenti muliebri si nascondeva qualche cosa proprio dell’uomo». B., di fronte all’evidenza, dichiarò di essere maritato con «Antonio Boc. ed essere madre di un maschietto».
L’articolo, anche in questo caso, getta luce sulla vicenda. L’arrestato «proveniva dalla casa degli esposti [figli di N.N.], perché frutto di illeciti amori […] [ed] era stato adottato da una pia contadina. […] Fattosi giovinetto e dopo aver stretto sporche relazioni col Boc., con questi emigrò in America dove vestì abiti di donna e fece la… ragazza allegra».

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I due contrassero regolare matrimonio, ma si separarono presto e B. tornò in Italia a «gettare i semi delle sue sozzure che ben presto trovarono abili coltivatori». Riguardando l’immagine si può ipotizzare che colui che celebrò le nozze avesse qualche problema alla vista. Senza aggiungere altre supposizioni poco storiche, anche in questo caso però possiamo osservare insieme quel volto, triste, sfiduciato e perso nel vuoto. È innegabile che B. Al. porti esprima la sofferenza di chi, colto sul fatto, sa che quello che aveva creato era solo il palliativo ad una condizione che la società non avrebbe mai tollerato.

A questo punto il lettore attento obbietterà che coloro di cui parlo non sono omosessuali bensì travestiti o transessuali. In effetti il primo si travestì per farsi fotografare e sovente rimirava quei ritratti, il secondo vestiva abitualmente da donna tanto da rivestire il ruolo di moglie in un matrimonio “legittimo”. Io li annovero tra gli omosessuali convinto come lo storico americano David Halperin, nell’articolo How to Do The History of Male Homosexuality? pubblicato dal «Journal of Lesbian and Gay Studies»  numero 6 dell’anno scorso, che: «il preciso concetto di omosessualità implica l’attrazione sentimentale per il proprio sesso.  L’espressione di questa attrazione, in tutte le sue svariate forme, costituisce una sola cosa, chiamata omosessualità che può essere pensata come un singolo fenomeno, distinto e separato dall’eterosessualità».
Di fatto nello studio della storia dell’omosessualità si incontrano realtà diverse che vanno dall’amicizia puramente sentimentale, ma con forti componenti omoerotiche, ai casi di chi, abitualmente  eterosessuale, si presta per un rapporto omosessuale nel ruolo di attivo o a travestiti, e ai casi di effemminati e pederasti. Le diverse peculiarità dei soggetti, a mio parere, non ci devono far dimenticare che stiamo parlando di casi singoli o ripetuti di attrazione o emotiva o sentimentale o fisica per individui del proprio sesso. L’omosessualità include le diversità, non le esclude.

Completiamo questo vecchio “Album” fotografico con un disegno che ritrae un «pederasta passivo e rapinante» pubblicato a pagina 100 di un libro, sempre di Abele De Blasio, intitolato Usi e costumi dei camorristi del 1897.

«Pederasta passivo e rapinante», in Abele De Blasio, Usi e costumi dei camorristi, 1897, p. 100.

A differenza dei due casi precedenti, non abbiamo alcuna notizia dell’uomo ritratto, che serve all’autore solo quale esempio a corredo di un capitolo che racconta la prassi del matrimonio maschile nelle locande napoletane dove si riuniva la malavita. Questa informazione non ha, per ora, altri riscontri.
Il testo dice che «i ricchioni [giunti] alla prima alba della pubertà, sentono il bisogno di essere…goduti». Una volta trovato il «pederasta attivo»  preparano «l’ara dove spontaneamente va[nno] ad offrirsi in olocausto. Il luogo del sacrifizio è quasi sempre qualche lurida locanda, dove in un giorno ed in un’ora stabilita si fa trovare l’amante, qualche sonatore i organetto e chitarra ed una schiera di ricchioni, che fan da corona alla timida fanciulla. Dopo un balletto erotico; il più poveretto della… materia augura alla felice coppia la buona notte, ma la sposina, prima di lasciar partire gl’invitati, distribuisce loro i tradizionali tarallucci e vino». Non è specificato se tra i due convenuti, a matrimonio avvenuto, esistessero vincoli di fedeltà.

È palese che questo testo proponga l’ottica di un criminologo che crede che «l’amore fra maschi è uno dei fatti più orribili dell’umana psicologia». Quel volto è, a mio parere,  appositamente disegnato con aria truce, idiota e con la fronte stretta. Così, vedevano gli omosessuali, gli studiosi che si proponevano per aiutarli e così il «pederasta rapinante» guardava quegli studiosi che passavano il tempo a misurare circonferenze craniche, statura, apertura delle braccia e comparsa dell’ultimo morale e che poi pubblicavano articoli come La secrezione lattea nei pederasti passivi. Al «pederasta rapinante», se mai è esistito, offriamo tutta la nostra comprensione.

Qui sono riuniti, per la prima volta, gli unici tre ritratti che sono riuscito a reperire.

In un futuro lontano a quest’Album che racconta la nostra storia aggiungeremo i nostri ritratti I nostri volti racconteranno vissuti più felici di questi ma non possiamo dimenticare che dobbiamo parte della nostra felicità anche a N.M a B. Al. e a «pederasta rapinante». (Pubblicato originariamente in “Babilonia” con il titolo “I nostri Flinstone”, marzo 2001)

Stefano Bolognini ⋅

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