Un marmo con un Ganimede abbracciato sensualmente ad un’aquila, un ninfetto tutto malizia che seduce dall’angolo di un affresco, due uomini che si amano di sguardi su una tela o il ritratto di un sodomita spacciato come ‘banale’ eretico dalla didascalia: l’omosessualità appare solo fugacemente nei musei di tutto il mondo.
È gradita eccezione lo Schwules Museum di Berlino, che propone un’esibizione permanente sull’omosessualità nella storia, arte e cultura. L’istituzione, unica al mondo, riflette il graduale processo di autoderminazione degli omosessuali, coprendo il periodo che va essenzialmente dal 1790 al 1990.
Si comincia dai roghi dei sodomiti con una eloquente riproduzione della Constitutio Criminalis Carolina del 1532: coloro che intrattengono “rapporti impuri con bestie, uomini con uomini o donne con donne dovranno essere bruciati”.
Detto fatto, un sinistro dossier del 1701, che contiene la sentenza di morte a due omosessuali, è reale testimonianza del nostro sanguinoso passato, mai esibito fino ad oggi.
Si tira un lieve sospiro di sollievo (con il Rinascimento e l’epoca moderna) nella parte relativa alle storie d’amore gay degli eroi: Ganimede bacia Zeus su una stampa napoletana del 1781, Poseidone e il suo amante Pelope sono avvinghiati su un medaglione d’avorio del 1620 e, poco biblicamente, li emulano Davide e Gionata su un bicchiere di cristallo del 1740.
L’Ottocento si apre con un tributo all’Italia nello splendido olio su tela di Ferdinand Flohr, datato 1837, che ritrae giovani nudi al bagno alla Grotta azzurra di Capri (la Sitges dei nostri trisavoli). Quei giovani italiani, irresistibili anche qualche decennio dopo per il fotografo von Gloeden di cui sono esposti due originali, per generazioni si intratterranno con gli omosessuali di tutta Europa.
Per i nostri nonni, purtroppo, non c’erano solo prelibatezze mediterranee. Un omosessuale, nel 1891, racconta enormi difficoltà: “Soltanto raramente, ho l’opportunità di soddisfare le mie inclinazioni sessuali. Mi soffermo su fotografie e statue che rappresentano corpi maschili, e non posso trattenermi dal baciarle. La più grande irritazione sta nelle foglie di fico: coprono i genitali”.
Tra poemi, nudi accademici e un’ampia disamina su teatro e danza, si giunge, nella seconda metà dell”800, ai primi studi scientifici sull’omosessualità, qui indagati con documenti medici e legali.
Corre un brivido lungo la schiena di fronte ad una pagina autografa di Karl Heinrich Ulrichs, riconosciuto dagli storici come il pioniere della lotta per la liberazione gay e creatore del termine “terzo sesso” per definirci, poco dopo la metà dell”800. Una copia della Psychopathia sexualis di Krafft-Ebing, primo monumentale studio sulle deviazioni sessuali, ricorda quanta strada abbiamo percorso nel ‘900 per arrivare a considerare l’omosessualità una delle possibili varianti della sessualità umana e non una malattia.
Mentre i medici ci studiavano, fotografavano e misuravano, per ricercare l’origine dei nostri gustosi vizi (uno strumento per le fotografie antropometriche è conservato nel museo), erano rincorsi dai sogni e desideri degli omosessuali che, negli stessi anni, in Germania, incominciavano a organizzare la loro rivoluzione culturale.
Ecco in una vetrina “Der Eigene”, prima rivista gay al mondo, pubblicata a partire dal 1897 dal movimento di liberazione gay tedesco, che incominciò la lotta per l’abolizione del paragrafo 175 (abolito solo nel 1994) che penalizzava con il carcere gli atti omosessuali.
Magnus Hirschfeld arrivò addirittura nel 1919 a fondare l'”Istituto per le Scienze sessuali“, distrutto dal Nazismo, di cui nel museo si può ammirare una ricostruzione in scala e numerosi cimeli.
Negli anni precedenti il nazismo Berlino vide una fioritura di vita gay notturna con cabaret celebri, nella zona di Nollendorfplatz (ancora oggi il più movimentato quartiere gay della capitale), con locali come l’Eldorado dove si esibiva Marlene Dietrich oltre a numerosi travestiti, di cui sono conservati gli abiti. Allo zenit della repubblica di Weimar la Berlino degli anni ’20 contava 40.000 soci iscritti alle associazioni omosessuali, che partecipavano attivamente alla vita culturale ed artistica della città, e numerose cartoline mostrano gruppi di escursionisti en travesti, bagnanti nudi e coppie di uomini e donne teneramente abbracciati, nonché “Miss Eldorado”, un “maschione” di un metro e novanta che vezzosamente ci sorride in una pelliccia-minigonna nera con sontuoso collo e maniche di volpe bianca.
Ma il nazismo era alle porte. In polverizzò il movimento per la liberazione gay, distrusse l’istituto di Scienze sessuali e in un escalation di orrore, omosessuali, zingari, ebrei, testimoni di Geova finirono nei campi di concentramento, per essere cancellati dalla storia.
Degli omosessuali è rimasto qui qualche ritratto di “triangolo rosa“, memoria indelebile di una ferita ancora aperta.
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Il resto è storia contemporanea, con la riorganizzazione dei movimenti “omofili” nel dopoguerra, con i poster dei congressi internazionali, e ampia documentazione relativa all’acquisizione della legge per le unioni civili, legali in Germania dal 2001, che offre gli stessi diritti del matrimonio etero. C’è spazio anche per qualche accenno alla cultura contemporanea, con le copertine dei vinile dei Village People, di David Bowie e altri, e le riviste gay moderne.
La rassegna si chiude idealmente (ma le acquisizioni continuano) con uno scatto di un gay pride del 1996, mentre Divine con al guinzaglio due bulldog ride sgangherata in una fotografia, Peter Flinsch in alta uniforme ci guarda seriamente nel 1940 (solo due anni prima di essere confinato a Torgau per aver baciato un soldato subordinato) e Hirschfeld in una caricatura del 1907 chiede battendo su una grancassa l’abolizione del paragrafo 175.
I curatori dell’esposizione non dimenticano, fortunatamente, l’erotismo e la pornografia, onnipresenti nella nostra storia. Ammiriamo gustose “sporcacciate”… ehm ‘scorpacciate’ del 1890, poi foto-cartoline di culturisti tedeschi di primi Ottocento (alcuni, ahinoi, con una foglia di fico che irrita ancora oggi), e decine di maschi nudi, dei movimenti naturisti e salutisti della Germania pre-nazista ritratti da Gerhard Riebicke e, ancora, lasciano senza fiato i nudi americani di Bruce of LA ed alcuni scatti “culto” di Will Mc Bride.
È un museo per “adetti ai lavori” ha sussurrato un po’ deluso un mio accompagnatore. In effetti il museo indaga la storia gay berlinese e tedesca, e le didascalie, non presenti per molte delle opere esposte, sono solo il lingua tedesca, anche se è disponibile una prolissa guida in inglese. Nonostante questo limite (“nessuno è perfetto”) una visita rimane vivamente consigliata: è addirittura scioccante la quantità di materiale esposto, dai pavimenti al soffitto, in sale relativamente anguste: a Berlino l’omosessualità “esibita” chiede ancora più spazio.
Il pensiero corre veloce al nostro paese che avrebbe moltissimo da esporre (da Lombroso a Pasolini, dai roghi di sodomiti ai balletti verdi, da Giò Stajano a Gadda a Pasquale Penta che come Hirschfeld aggiornava il dibattito medico sull’omosessualità nel 1896 e via musealizzando), ma nel quale nessuno è “addetto ai lavori” e meno di nessuno è interessato all’omosessualità: “Che senso ha, in fondo, un museo gay?”, mi è stato chiesto a nemmeno 5 secondi dal mio rientro.
L’Italia? Eppur si muove…
Nella scarsa attenzione generale sull’omosessualità fa capolino un’eccezione: History Channel Italia ha deciso di dedicare questo mese, a partire dal 6 febbraio alle 23, ma con numerose repliche , una puntata della serie di documentari “Storia proibita del novecento italiano” all’omosessualità dall’ottocento agli anni settanta (“Italia capovolta”). Abbiamo scambiato due chiacchiere con Daniele Ongaro, uno degli autori.
Perché un documentario sulla storia dell’omosessualità in Italia?
Nella serie di documentari Storia proibita raccontiamo essenzialmente la storia della sessualità, dall’adulterio alla violenza sessuale passando per la censura. È una storia troppo spesso nascosta. Ci è sembrato doveroso dedicare una puntata all’omosessualità in Italia, e ci ha stupito il fatto che nessuno ci avesse ancora pensato: è un tema ricco di vicende da raccontare e ha un pubblico interessato.
Di che cosa parlerete?
Racconteremo il periodo va da da fine ‘800 agli anni ’70, muovendoci secondo due linee.
Da una parte parleremo degli omosessuali famosi e degli scandali celebri, dall’altra cercheremo di offrire una prospettiva sulla vita a livello popolare degli omosessuali.
Che difficoltà avete incontrato?
Al di là dei grossi scandali, su cui esiste materiale, e della difficoltà a reperire testimoni, non esiste negli archivi di immagini pubbliche (penso al centro di documentazione Rai o all’Istituto Luce), nulla sull’omosessualità, nemmeno uno spettacolo en travesti degli anni sessanta. L’interesse a documentare l’omosessualità non sembra essere stato vivo nemmeno negli anni settanta, nel corso dei quali nasce la militanza gay. Abbiamo però recuperato numerose immagini fotografiche.
Quali sorprese ci riserverete?
Non aspettarti grandi scoop o novità storiche. Ci siamo trovati a lavorare su di un territorio vergine, e abbiamo cercato di amalgamare tematiche trattate settorialmente, con l’aiuto dei più celebri storici italiani, che sono stati molto disponibili e puntuali. Tra le sorprese penso all’intervista a Dominot, un omosessuale a cui è affidata l’ultima battuta del film La dolce vita, che nessuno ha mai ascoltato in TV; tuttavia il pregio nel nostro lavoro, spero, stia nell’aver offerto un lavoro organico su di un argomento tabù. (Pubblicato originariamente in “Pride”, n.92, febbraio 2007 con il titolo Un museo unico al mondo)