Voce di Enciclopegaya.it a cura di Stefano Bolognini
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Brescia, anche grazie al grande scandalo seicentesco di Giuseppe Beccarelli e a quello novecentesco dei Baletti verdi è, insieme a Venezia e Firenze tra le città italiane più indagate dal punto di vista della storia dell’omosessualità. In questa sede si riportano gli accadimenti salienti in forma solo aneddotica, in attesa che il corpus delle fonti consenta analisi più approfondite.
Lo statuto medioevale
La prima testimonianza rilevante nella ricostruzione della storia dell’omosessualità a Brescia, riguarda la sua persecuzione.
In particolare, il paragrafo 75 degli Statuti bresciani del 1483[1] rende noto l’atteggiamento della autorità cittadine nei confronti della sodomia:
« Chi avrà insozzato una donna o un maschio, intendendo commettere sodomia, sia bruciato col fuoco, ma il passivo sia punito e castigato oppure sia assolto ad arbitrio del signor podestà e del suo tribunale, dopo aver considerato la qualità del delitto e delle persone e la sua età » | |
(Statuta civitatis Brixiae[2])
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Allo stato attuale degli studi non è possibile fornire un quadro della sua applicazione.
Uno scandalo dai contorni incerti
Nel 1499 scoppia “come una bomba[3]” il caso “di tre sacerdoti assatanati accusati d’eresia, apostasia di Cristo, pratiche diaboliche ed orgiastiche“.
Tra questi sacerdoti Don Ermanno di Breno che, stando alle cronache dell’epoca, avrebbe incontrato presso il Passo del Tonale un diavolo dal nome biblico di Roboamo a cui avrebbe “donato” lo sperma perché ne facesse unguenti. Il processo all’eretico fu affidato ad un patrizio veneto, Antonio Cavazza (1481-1531).
Lo stesso Cavazza è ricordato in una satira popolare raccolta dal cronista Pandolfo Nassino come affetto da sifilide. Pettegolezzi insistenti affermavano che il Cavazza condividesse “fraternamente ed ambiguamente con i suoi canonici il peso dell’affezione venerea“. L’inquisitore chiese alla Serenissima la sospensione del processo e la Repubblica Veneta ordinò al giudice Cavazza di non procedere. Dopo l’ingiunzione lo scandalo venne insabbiato e i suoi contorni restano ancora tutti da chiarire. Resta l’evidenza del fatto che il sospetto di sodomia fosse oggetto di scandalo e satira.
Giambattista Pallavicino e “li piroli” dei canonici
Nella Quaresima del 1528 il carmelitano Giambattista Pallavicino dovette interrompere i suoi sermoni perché gravemente sospettato d’eresia: nel luglio dello stesso anno il papa Clemente VII si riferiva all’episodio per richiamare severamente il vescovo e l’inquisitore a una più attenta vigilanza.
La cacciata del sacerdote (che predicava nella chiesa di San Giovanni “cum tanto ardire et audatia, che non so qual potesse havere tanta vose“) viene attribuita da Pandolfo Nassino a ben altri motivi: “perché tocava li piroli [piselli, ndr.] ai canonici de domo et ali frati de S. Maria deli Gratie et ali altri, et a queli de S. Zoane del suo troppo crapular et sonar li maytini et poi non levano suso” [4] (tr. it.: “perché toccava i piselli ai canonici del Duomo e ai frati di Santa Maria delle Grazie, e ad altri [frati], e a quelli di San Giovanni <che> per il troppo sfrenato/lascivo divertimento che durava tutta notte, al mattino non si alzavano più“.
Il processo a Francesco Calcagno
Nel 1550 il monaco ventiduenne Francesco Calcagno è condannato a morte a Brescia per affermazioni blasfeme alcune delle quali in esaltazione all’omosessualità. Negli atti del processo[5] si legge fra l’altro:
« Giorno 7 febbraio 1550.È comparso messer Giovanni Antonio de Savarisi, cittadino eminente e abitante di Brescia, e ha sporto denuncia al reverendo signore vicario episcopale, e al suo ufficio, contro:Il prete Francesco dei Calcagni apostata abitante a Brescia nella contrada aromataria de barbisino, già professo [frate che ha preso i voti] nel monastero di Santa Eufemia.
Et de queste cose se ne potrà informare da Messer Lauro di Glisenti, Messer Iovita Balino chierico, Messer pre Nicolò Ugone, Maestro Pietro di Gratiis, libraro al Domo. » |
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Le testimonianze di Lauro Glisenti, Giovita Ballino e del libraio Pietro delle Grazie del 13 luglio 1550 confermano le accuse. La confessione dell’imputato arriva, in parte, il 14 luglio 1550 e per il resto, probabilmente dopo una seduta di tortura, il 15 luglio 1550. La supplica conclusiva non ebbe alcun effetto. Dopo esser stato trasferito e processato a Venezia, Calcagno fu rimandato a Brescia con una condanna alla riduzione allo stato laicale, al taglio della lingua, alla decapitazione e al rogo del suo corpo. Il 23 Dicembre 1550 il monaco fu giustiziato in Piazza Loggia:
« dal maestro di giusticia [boia] è sta’ tagliata la lingua ad esso prete Francesco, troncata la testa, et il corpo suo arso et brugiato con ardentissimo fuoco soppra essa piazza piena di moltitudine. » | |
Le esecuzioni capitali avevano luogo a Brescia in Piazza Loggia davanti ad una colonna con il Leone di San Marco che oggi non esiste più. Nel punto esatto in cui sorgeva è stato eretto il monumento alle Dieci Giornate di Brescia[6].
Il sodomita genovese
E nel maggio 1619, un genovese di oltre trent’anni, Vincenzo Arnaldi, è denunciato a Brescia per sodomia con un giovane di quattordici anni di nome Romulo e con un ragazzo di diciotto o diciannove anni di Milano di nome Giovanni Pietro Cavanego.
Nel corso del processo emergeranno testimonianze evidenti, tra cui quelle di Romulo stesso, delle relazioni sessuali intercorse tra l’uomo e i ragazzi[7].
Casanova e un pederasta
Casanova nelle sue memorie accennerà ad caso di un condannato per sodomia dalla Repubblica di Venezia che sconta la sua pena nel Castello di Brescia. Il nobile veneziano Bastian Mocenigo[8] di San Samuele, fu condannato dal Consiglio dei Dieci per sodomia e confinato per sette anni presso la Torre dei Prigionieri di Brescia per “pubbliche dissolutezze contro natura commesse a Parigi, ove fu arrestato, quando egli era stato allora delegato alla Corte di Vienna quale ambasciatore“, nel 1768.
Casanova aveva incontrato il Mocenigo quando era ambasciatore e lo ricorda in questi termini:
« fece tanto parlare di sé a Parigi a causa della sua disdicevole tendenza per la pederastia, e che in seguito fu condannato dal Consiglio dei Dieci a restare sette anni nella cittadella [ora Castello] di Brescia[9]. » | |
Lo scandalo Giuseppe Beccarelli
Per approfondire, vedi la voce Giuseppe Beccarelli. |
La pia casa d’industria
A inizio Ottocento rapporti sessuali tra uomini ricompaiono nella città nell’ambito degli ambienti di ricovero della Pia casa d’Industria.
Un ragazzo, Bernardo Barcella, “maestro di nefandità ai più giovani” è allontanato per atti osceni il 10 giugno 1828 e poi riammesso.
Al contrario, il settantenne Vincenzo Camplani è allontanato definitivamente dalla casa nel 1846. Il suo tentativo di appellarsi al podestà di Brescia, due anni dopo, non sortì alcun effetto e fu l’occasione, per il direttore dell’istituto, per spiegare al sindaco della città le ragioni dell’allontanamento:
« Questo Vincenzo Camplani […] venne per ben due volte allontanato da questa pia casa, per essere stato sorpreso in atto di sodomia con questi fanciulli, e tuttavia per interposizione di qualche religioso, che rassicurava del pentimento del postulante, vi fu per due volte perdonato e riammesso; ma trovato recidivo, alla terza occasione venne definitivamente espulso. Questa spettabile magistratura vedrà nella sincera esposizione dell’argomento quanto imprudente e immorale, riuscirebbe, in un pio istituto, ove accedono tanto numero di fanciulli anco innocenti, qualora si facesse luogo alla domanda in discorso (18 luglio 1848)[10]. » |
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8 anni di carcere per il sacerdote “contro natura”
Il giornale “La sentinella bresciana”, il 12 dicembre 1863, riporta la notizia della condanna di un sacerdote per “atti di libidine contro natura”:
« Il giorno 10 venne tenuto un dibattimento contro il sacerdote Piccinoli Francesco, accusato di libidine contro natura. Avendo i giurati dichiarato il Piccinoli siccome colpevole del reato attribuitogli, venne il medesimo condannato alla pena di reclusione per anni 8.Di tale dibattimento non possiamo accennare le diverse fasi essendochè venne tenuto a porte chiuse per riguardo al buon costume » | |
(“La sentinella di Brescia”[11])
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Il codice penale Zanardelli
Giuseppe Zanardelli, ministro della Giustizia di origini bresciane, diede nel 1889 il suo nome al primo codice penale unitario italiano, nel quale scomparivano le pene per il reato di sodomia che nel 1860 erano state estese alla maggior parte del neonato Regno d’Italia dal codice penale del Regno di Sardegna. [12].
Il “Codice Zanardelli” abolì l’articolo 425, che puniva gli atti omosessuali su querela di parte o in caso di «scandalo». Per il bresciano, come per il resto d’Italia, la lotta all’omosessualità spettava alla Chiesa che aveva “giurisdizione” sulla morale; come si evince dalle dichiarazioni rilasciate durante la discussione alla Camera del disegno di legge:
« Se occorre da un lato reprimere severamente i fatti dai quali può derivare alle famiglie un danno evidente ed apprezzabile, o che sono contrari alla pubblica decenza, d’altra parte occorre altresì che il legislatore non invada il campo della morale […] Il progetto tace pertanto intorno alle libidini contro natura; avvegnachè rispetto ad esse, come dice il Carmignani, riesce più utile l’ignoranza del vizio che non sia per giovare al pubblico esempio la cognizione delle pene che lo reprimono[13]. » | |
Il Novecento
Lo scandalo dei Balletti verdi
Per approfondire, vedi la voce Balletti verdi. |
Lea, la prima transessuale
Fa la sua comparsa tra gli anni ’60 e gli anni ’70 Lea (il sono nome anagrafico è Leonardo Belleri), la prima transessuale di Brescia. La storia di Lea non è ancora stata scritta nonostante la donna sia una figura molto conosciuta, se non addirittura celebre, in città e provincia: “Tutta Brescia la conosce: è un uomo che andava in giro truccato da donna, il primo travestito della nostra città. Voleva vivere ai margini, chiedeva sigarette e soldi a tutti”[14].
La parabola della sua esistanza la vedrà, stando a testimonianze orali, “bellissima”, “femmina” e “ricca” nel pieno fulgore della giovinezza negli anni ’70, tra abiti costosi, una cascata di capelli castani e due levrieri che l’accompagnano, fino alla caduta tra emerginazione, droga, povertà e presunta follia.
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Difficile raccapezzarsi nell’oceano di leggende si sussurrano in città sul conto dell’androgino personaggio. C’è chi la ricorda inveire per strada contro le persone impellicciate e sputare a chi le rifiutava una sigaretta[15], chi dice che la città andava a vederla battere o chi, ancora, sussurra che perdutamente innamorata di un uomo che si sposerà con una donna il giorno del matrimonio, come in una fiaba, Lea impazzirà…
Lea raccoglie sulle sue esili spalle la sintesi delle tensioni su maschile e femminile che scuotono la città che fai i conti con la modernità del ’68 e che la confode e la sovrappone, nel pregiudizio, per l’omosessuale o per il travestito, fantasmi con cui Brescia non aveva ancora fatto i conti. Lea è sola, unica nella rivoluzionarietà delle scelte e sulle labbra impietose di troppi.
Di certo, nella sua nebbiosa storia e esistenza, è che “la Lea”, così ci si riferiva a lei, aprirà la strada a generazioni di transessuali che assumeranno più facilmente visibilità negli anni a venire e che nel 2000 il Comune di Brescia le aveva assegnato un alloggio e che, chiedendo l’elemosina per strada mostrava una serenità faticosamente raggiunta e distante da tutto nel suo silezio impenetrabile.
Gli anni ’70 del Novecento
Con gli anni ’70 del ‘900 compaiono a Brescia i primi locali che si rivolgono ad un pubblico omosessuale (maschile). E’ il caso de “Il Gattopardo“, aperto in provincia a Cologne e probabilmente la prima discoteca gay bresciana di sempre, che risveglia immediatamente le attenzioni pruriginose de “Il Giornale di Brescia”. Il quotidiano il 12 novembre 1975 pubblica l’inchiesta, unica nel suo genere, di un giornalista anonimo che “casualmente” si mescola al pubblico omosessuale danzante:
« Può anche accadere che, percorrendo in macchina la strada Brescia – Bergamo, o viceversa, si sia attratti – giusto a mezzo del nastro d’asfalto che collega le due cugine – da una grande scritta ala neon, gialla: dancing. E può ancora accadere che si concordi di andare a far quattro salti, ad ascoltare un po’ di musica in un locale nuovo dell’agreste, ma da qualche tempo anche industre paese bresciano, tutto sommato ancora di modeste proporzioni. Caspita, centinaia di macchine ammucchiate tra le case della strada che porta, perpendicolare alla Brescia – Bergamo, verso sud. Il dancing tanto frequentato si è dato il nome di felino africano, più grande dei gatti domestici, piuttosto feroce(ndr: Il Gattopardo). Si entra; alla cassa una sorridente, ma un poco sospettosa signora (visibilmente impacciata con i clienti nuovi), che fra lo stacco e l’altro di un biglietto d’ingresso timbra con una stellina il dorso della mano di alcune ragazze uscite dal bar e che ora ridiscendono nel dancing. Anche i nuovi arrivati scendono.Personale con divise pesantemente filettate, come a Pigalle; l’enorme salone, con vasta pista polverosa( ma forse è la scarsissima luce ad esagerare l’impressione) e sedili a non finire; una scala misteriosa che va e che viene tenedosi affettuosamente la mano. Stupisce un poco che le cinque o seicento persone munite del biglietto che promette una lotteria ( lire duemila, consumazione a parte) stiano riunite quasi tutte differenziandosi secondo il sesso. Che ballino, anzi, conservando gioiosamente il “distinguo”. Ma, nei nuovi arrivati, sempre meno stupiti e sempre più imbarazzati, le prime impressioni si confermano. L’ultimo filo di dubbio è spezzato allorchè lo speaker (elegantissimo in grigio perla, ma con gli zoccoli da spoiaggia) annuncia che sta per incominciare il programma: una bomba, l’applauditissimo numero. Il semi-strip della biondissima cantante, con microfono e bocca che si muove, è interpretato (come ci informa un efebo bruno, senza giacca ma con berrettino a quadretti alla Serge Reggiani, addirittura delirante) da un tipo, che a Brescia, di notte, nei pressi della stazione, fa fermare le macchine. Canta Donatella Moretti, ma è tanto bello credere per un attimo che la voce sia del divo travestito.Lo speaker riprende le fila della serata, rispondendo agli applausi, domani il “numero” verrà riconcesso. Le coppie degli omosessuali riprendono a danzare, tranquille beate, ostentando felicità. Due robusti uomini, coin il viso adusto dei fittavoli; all’attacco della scala misteriosa, abbracciano sé stessi e una colonna, baciandosi non sulle guance. Cme molti altri, ovviamente, non contagiandosi con l’altro sesso.L’imbarazzo è divenuto nausea, schifo, ripulsa. I nuovi clienti ne hanno di troppo, se ne vanno domandandosi se davvero hanno visto giusto. Noi nulla abbiamo da dire sulle “nature diverse”, alla Pasolini, anche se osavamo sperare che i loro indici di diffusione non fossero anche nel Bresciano così disarmanti. Ma farsi gli affari propri in disparte, lontano (per rispetto degli altri, ove non fosse per pudore) dai “normali” può anche stare bene. In pubblico tali spettacoli si chiamano ancora atti osceni, e fanno reato. Incredibile che la squallida realtà che segnaliamo soprattutto ai padri e alle madri della zona, ma anche della città (cinquecento – seicento nostri giovani, molti di loro domani padri e madri dei nostri nipoti), sia fino ad ora sfuggita ai tutori dell’ordine, esemplarmente implacabili, in passato nei confronti di locali che al confronto sono per educande.Tutto meravigliosamente tranquillo ed indisturbato, a metà strada tra Brescia e Bergamo. Poniamo fine allo sconcio, per favore, mentre corrono voci secondo le quali il dancing dalla denominazione felina starebbe per divenire un 2club privato”, con tanto di tessera e quota. Solo “per noi”, come sospirano “i diversi”. Non aspettiamo sempre i delitti dell’Idroscalo romano per accorgerci della marcia realtà di Piazza dei cinquecento. » | |
(Il Giornale di Brescia[16])
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Con una discontinuità sorprendente per quegli anni, e rispetto allo scandalo bresciano dei Balletti verdi che non destò negli omosessuali bresciani alcun accenno di ribellione rispetto al fango che veniva gettato dalla stampa, un gruppo di una ventina di gay bresciani rifiuterà la lettura strumentale de “Il Giornale di Brescia” e invierà una vibrante lettera di protesta alla redazione e al quotidiano concorrente. Alcuni si firmeranno nome e cognome, altri con pseudonimi di fantasia.
Impossibile non notare come l’inusuale atto di ribellione, per contiguità storico-temporale e forma, richiami all’invio a “La Stampa”, nel 1972, di una lettera di protestaper un articolo dai contenuti ritenuti indegni da un gruppo di omosessuali. Quella lettera di un gruppo di omosessuali torinesi, che anticipa di 3 anni l’iniziativa bresciana, darà il via alla prima protesta pubblica di omosessuali italiani a San Remo nel 1972.
Il clima in Italia stava rapidamente cambiando, anche grazie alle notizie relative ai moti di Stonewall, la prima protesta pubblica di omosessuali americani del 1969, si erano diffuse nella popolazione omosessule anche grazie ai luoghi di aggregazione come “Il Gattopardo”. Il 16 novembre la “lettera firmata” dagli omosessuali bresciani comparirà integralmente sulle colonne di “Bresciaoggi”:
« Se tra qualche giorno, uscendo da una discoteca, magari ” a mezza strada tra Brescia e Bergamo”, troveremo gente con catene e manganelli ad attenderci, ciò sarà per chi ha scritto (non firmandosi) l’articolo apparso mercoledì 12 novembre a pag. 8 sul “Giornale di Brescia” dal titolo “Uno spettacolo che deve finire”.Gli echi del tragico caso Pasolini, non sono ancora spenti, ciò malgrado, l’anonimo autore dell’articolo in questione non esita, dimostrando profonda ignoranza in materia, ad aizzare contro di noi l’opinione pubblica. Ora Basta! Basta con i ghetti in cui ci vogliono costringere. Basta con le strade buie e pericolose. Basta con i giardini del Castello(un cruising, ndr.). Vogliamo vivere, è troppo? Prima ancora che omosessuali siamo uomini che si battono per il sesso libero ormai universalmente riconosciuto se non praticato.Non riusciamo proprio a capire cosa ci facesse quella sera il bieco, anonimo individuo in quel locale. Ma cosa vuole? Cosa cerca? Era proprio necessario aspettare la fine dello spettacolo perché si scandalizzasse? “Fatelo almeno lontano da tutti se non altro per rispetto a noi normali” dice nel testo in questione. Normali? Ma che cosa significa normali? Essere normali significa conoscere sé stessi, essere sicuri delle proprie scelte. Semmai l’anormalità sta nel non accettarsi così come si è.Tutti noi, leggendo il giornale, abbiamo notato la solita omosessualità repressa che affiora, diremmo, in ogni frase dell’articolo. E’ già difficile per noi vivere in famiglia. Il problema dell’occupazione, poi, è addirittura drammatico per noi. Spesso, spessisssimo ci negano impegni e lavori che potremmo eseguire quanto meno come gli altri, forse anche meglio. Ci viene imposto di vergognarci, ma di che cosa? Di amare? E’ assurdo!Le nostre preferenze e le nostre scelte sono sempre contestate e discusse. Tuttavia, al di là di tutto questo, rimangono pur sempre i sentimenti che, piaccia o no a qualche persona non hanno sesso. Sappiamo, è vero, di essere più frivoli di altri; d’altronde ciò che i nostri nemici ci invidiano nascostamente è proprio questo nostro mantenerci giovani, non invecchiando mai. Eppure tanta altra gente ci apprezza e ci capisce, e si affeziona anche. Ma sono cose queste, che nessun normale oserà mai confessare pubblicamente proprio per colpa di qualche imbecille (chi fa queste discriminazioni non può che essere irrimediabilmente, funestamente vecchio).Nessuno ha niente da insegnarci; pochi soffrono giorno per giorno quanto noi. Non di meno siamo così convinti di non sbagliare che siamo gelosi anche dei nostri difetti. Quindi, nessuna vergogna da parte nostra. In fondo, ci vergogneremmo soltanto se… ci vergognassimo.
Lettera firmata » |
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(“Bresciaoggi”[17])
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“Il Gattopardo” sarà ancora in piena attività nel 1978 anche se si dovrà confrontare con un germoglio di agguerrita concorrenza con il locale “Les Cigales“, a Bedizzole, e il “Carnaby” a Desenzano del Garda.
Ecco l’atmosfera che si doveva respirare a “Les Cigales”, stando ad uan testimonianza anonima:
« Un nuovo locale gay è stato aperto a Brescia e si inserisce dignitosamente fra gli altri, aperti negli scorsi anni, che si offrono a quanti altrimenti, si sentirebbero emarginati.Si chiama “Les Cigales” e raggruppa insieme una serie di servizi piuttosto interessanti: la discoteca, il ristorante e anche un accogliente albergo a disposizione di chiunque voglia prolungare il soggiorno.La discoteca è all’insegna di ciò che esiste di più moderno con la sua musica scatenata e le sue luci accecanti e fantasmagoriche. Il ristorante è di buona cucina a livello medio, il bar discreto, l’albergo… non lo abbiamo provato.Ciò che colpisce più di tutto entrando nella sala è il pubblico composto esclusivamente di giovanissimi che, a occhio e croce, non sono certamente tutti su una sponda precisa e ben definita. Questo significa che certe iniziative richiamano, per la loro vivacità e per il loro interesse, un pubblico eterogeneo che non riesce èiù a divertirsi altrove.Il direttore del locale assicura che, a differenza delle sale considerate normali, nel suo locale non c’è discriminazione: i gay sono al centro dell’attenzione e sono i veri padroni, ma anche gli altri saranno benvenuti e bene accolti.Altri locali “omo” nella provincia di Brescia, che meritano la pena di essere segnalati, sono: “Il gattopardo” a Cologne e il “Carnaby” a Desenzano » | |
(“Doppio Senso”[18])
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L’atmosfera che si respirava in città, rieccheggia poi nello sfogo di un altro anonimo, che invia ad una tra le prime pubblicazioni gay, il giornale Lambda, una vivace testimonianza[19] sulla vita gay di Brescia che circoscrive con chiarezza sia l’esuberanza sessuale degli omosessuali insieme alle loro paure e all’invisibilità.
La testimonianza racconta una omosessualità che si vergogna di se stessa ed è ancora ancorata ai luoghi di incontro all’aperto (cinema, vespasiani, parchi) e legata ad una sessualità promiscua, come già emergeva negli primi anni ’60, ma raccoglie l’incredibile novità dell’apparizione dei prime strappi di movimento gay, come già la lettera a “Bresiaoggi” aveva dato testimonianza. E’ una fotografia sfocata di un cambiamento in atto nella storia dell’omosessualità italiana che traccia nettamente il confine tra un prima fatto di silenzio, invisibilità e paura e un dopo fatto di visibilità e serenità.
Dhij Mot, così si firma l’anonimo, è esattemente al centro tra le due spinte opposte e racconta la sua non facile esperienza:
« Scrivere della situazione, e dei giardini, di pisciatoi e cinema famosi,di fighe artificiali e di ronde di marchettari? Oppure scrivere del “movimento gay di Brescia”? ma che movimento e movimento! » | |
(Dhij Mot)
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L’uomo è arrabbiato perchè “un biondino”, dopo una seduta di sesso soft, gli ha detto “e poi non vuol dire essere froci”, chiedendogli massima discrezione su quanto accaduto e lamenta rare soddisfazioni sessuali tra chi al cinema “non sa decidersi” e ragazzini che “ti frugano nei pantaloni, e che poi se ne scappano al cesso perchè poi hanno paura”.
L’espressione sopra le righe del disagio dell’uomo, che ha una appartenenza politica decisa (si dice “autonomo” e “gay” e avvezzo ai cortei), sa anche una prospettiva autoironica proprio sulla primissima militanza gay a Brescia:
« Dunque a Brescia i gay impegnati politicamente sono circa una decina, io faccio una trasmissione a Radio popolare Martino, adesso è triste Mauro è soldato e sta dormendo di là Giulio Giulio no Piero ah si Piero è a Milano…!Dhij Mot » | |
Di tenore esattamente opposto la lunga testimonianza romanzata di un omosessuale quarantonovenne sposato e e che vive la propria condizione in segreto. L’esperienza è raccontata dal giornale pornografico “Doppio Senso” e firmata “Tani Ferioli”[20], uno pseudonimo che richiama il fotografo bresciano di nudo maschileTony Patrioli [21] racconta i luoghi del sesso promiscquo e del battuage (in neretto, ndr.) ed è da considerarsi veritiera e realistica, nonostante il tenore romanzato: i luoghi citati tornano spesso nelle memorie orali degli omosessuali bresciani e sono gli stessi raccontati precedentemente.
« Dottore ho archiviato quelle ultime pratiche…Posso andare”. Luisa mi guarda sempre così alla fine di una giornata di lavoro: forse vorrebbe che le dicessi di rimanere ancora: “Non fati problemi, casomai ti accompagno a cena io” o cose del genere. Invece tutte le sere acconsento con un cenno del capo fingendo di rileggermi gli appunti per il giorno dopo ma intimamente pensando se anche questa sera riuscirò a saziarmi.E non a cena: non mangio nemmeno quando mi prende quella specie di frenesia da uccello. Non sto nemmeno ad analizzare il perché e il per come di questo straziantissimo bisogno. Straziante perché non sempre riesco a trovare quel che cerco, non almeno in questa città.Penso subito al bar della stazione dove mi sorbirò un caffè (presumibilmente al Bar degli specchi, un caffè frequentato da omosessuali, ndr.) , lì ogni tanto capita un ragazzo con i jeans più attillati del solito. Come l’altro ieri. Aveva in mano la valigia “Tra un ora parto per Milano” sarà poi stato vero o solo un pretesto per “camuffarsi”? Fattostà (sic!) che me lo sono portato al parco Ugoni e lì ha fatto tutto lui. Uno di quei ragazzi che sbocchinano e alla fine te lo ripuliscono anche a colpetti di lingua.“Non ti fa schifo?” “Non con te” mi aveva risposto. Chissà se certa gente dice a tutti le stesse cose! Ma questa sera ho deciso per il “locale”. La stagione per “battere” all’aperto non è più così propizia come fino a venti giorni fa. Al cinema non mi va: al Brixia ho avuto un’avventura poco piacevole.Il film era già cominciato. Un’ombra si avvicina furtivamente a me. “Scusi, da che parte è la toilette?” Io gli indico a voce bassa l’entrata e lui, fingendo di non capire, si avvicina di più a me e mi appoggia una mano alla coscia. “Grazie” mi dice alla fine ritraendosi e dirigendosi al cesso.Per me è un segnale bell’e (sic!) buono. Parto come un siluro per la toilette. È lì. Finge o piscia sul serio? Mi metto vicino a lui, in piedi come lui e sbircio oltre il divisorio. Mi fa impressione: ha un cazzo tutto ulcerato e violaceo: “Questo ha una “bleno” (Blenorrea o Gonorrea, ndr.) cronica o anche peggio!” e mentre penso così questo comincia a rantolare di piacere spiando il mio cazzo e agitando con la mano sinistra la pellecchia del suo.
Con la destra tenta di arrivarmi sotto i coglioni, ma schifato, non glielo permetto “Spiacente e arrivederci!”. Me ne andrò al Blue Night (in realtà è Blu notte, ndr.) di viale Italia. Un amico conosciuto quest’estate al parco mi ha detto che ogni tanto si riesce a rimorchiare anche se non si è più tanto giovani. Io ho quarantanove anni e non mi sento vecchio. Ho anche una moglie e una figlia. Nessuno sa nulla. Mi rispettano tanto perché sono un buon padre, un marito irreprensibile e molto elastico e un gran lavoratore – dicono loro – per stare fino a così tardi in ufficio almeno due volte a settimana! No non andrò al Blue Night. Pensandoci bene non vale la pena, per rimediare magari un marchettone, imbattermi che ne so, in mia figlia col ragazzo o con altri conoscenti: l’ambiente è promiscuo. “Tutti si fanno i cavoli propri” mi aveva detto sempre quel tipo conosciuto ai giardini, ma anch’io vorrei farmi i miei. Non voglio usare l’auto: ogni volta che mi allontano troppo da Brescia come spinto da un impulso irresistibile di fuga. Eppoi l’altra volta al Gattopardo di Colonie, un bar con attrazione, riflettori, cantanti e complessini non ho rimediato nulla: troppo giovani, troppo accoppiati, troppo sensibili e vulnerabili anche solo a guardarli. No, va a finire come ieri sera: dietro il posteggio dei pullman vicino alla stazione, a notte fonda. Mi toccherà aspettare con questa voglia che mi bussa in culo ancora qualche ora. Ieri sera ci sono andato alle undici e mezzo. Alle undici e quarantacinque avevo già praticamente fatto tutto con una specie di bohemien nostrano. Non ha voluto una lira. Come passa il tempo quando si pensa a certe cose! Il profumo di Luisa, la mia segretaria è svanito del tutto dalla mia stanza. Allora per un caffè veloce alla stazione. Poi si vedrà » |
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(Tani Ferioli)
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Gli anni ’80 del Novecento
E’ con gli anni ’80 del Novecento che la presenza del movimento gay a Brescia si fa più consistente.
Nel dicembre del 1981 ad esempio, due gruppi “Arci gay” (ove lo spazio tra le due parole è da intendersi come richiamano al primo esperimento di Arci-gay di Palermoe a diversi piccoli gruppi di militanti che solo nel 1985 confluiranno nell’Arcigay per come lo si intende oggi) e “Nuclei omosessuali di Brescia“, che fanno capo all’attivismo di Sergio Facchinetti nei radicali della città organizzano “I venerdì del no”, una serie di incontri sulle tematiche lgbt.
Nella Sala radionavantanove di Vicolo San Zanino 5, il 2 dicembre, Pier Vittorio Tondelli presenta il suo [Pao pao]; il 9 dicembre si tiene una performance di Barbara Alberti con Caterina Saviane e Bruno Gaburro a cui assite la redazione del neonato mensile Babilonia (rivista) (con Felix Cossolo e Ivan Teobaldelli); e il 16 dicembre si tiene un dibattito su Chiesa e omosessualità con Giovanni Giudici, Alfredo Berlendis, Gianni Gennari e l’ex sacerdote che diede impulso alla nascita di Arcigay Marco Bisceglia.
Dopo il 2000
Dal 2001 si tiene, una volta all’anno in città, il Brescia Volley Spring Tournament, un torneo di pallavolo per atleti gay, e i loro amici. L’edizione del 2012 vedrà oltre 350 atleti e ben 40 squadre iscritte da tutta italia e da Svizzera, Svezia, Norvegia, Germania e Francia.
Ad inizio 2005 Luca Trentini, presidente di Arcigay Brescia incomincia una collaborazione[22], che consta di un articolo a settimana, con il free press quotidiano Il Brescia che durerà fino alla chiusura del giornale.
Note
- ↑ Statuta civitatis Brixiae, Brescia: Damiano Turlino, 1557, p. 182.
- ↑ «Qui mulierem, vel masculum poluerit, contra naturam, animo sodomiam committendi, comburatur igne: patiens vero puniatur, & castigetur: aut etiam absolvatur arbitrio domini potestatis, & suae curiae: considerata qualitate delicti, et personarum & etate».
- ↑ Maurizio Bernardelli Curuz, Streghe bresciane, Desenzano: Ermione, 1988, p. 60.
- ↑ Giovanni Treccani Alfieri, Storia di Brescia, voll. IV + indici, Brescia, Morcelliana 1961, vol. II, pp. 448-449, p. 448 nota 5 e nota 6, e p. 449 nota 1.
- ↑ Giovanni Dall’Orto, Adora più presto un bel putto, che Domendio. Il processo a un libertino omosessuale: Francesco Calcagno (1550), «Sodoma», 5, 1993, pp. 43-55.
- ↑ La colonna è per esempio visibile nel dipinto di Pietro Scalvini (1718–1792), La giostra dell’anello in piazza della Loggia del secolo XVIII, oggi presso la Pinacoteca Tosio Martinengo.
- ↑ Thomas Betteridge, Sodomy in early modern Europe, Manchester University Press, Manchester, 2002, p. 69.
- ↑ E. Volpi, Storie intime di Venezia repubblica, Fratelli Visentini, 1893, p. 24.
- ↑ Giacomo Casanova, Historie de ma vie, ms. (1791-98); tr. it. Storia della mia vita, a cura di P. Chiara, 7 voll., Milano, Mondadori, 1964-65.
- ↑ Sergio Onger, La città dolente: povertà e assistenza a Brescia durante la Restaurazione, Franco Angeli, Milano 1996, p. 305.
- ↑ Anonimo, ”Corte d’assise di Brescia, “La sentinella bresciana”,12 dicembre 1863.
- ↑ Giovanni Dall’Orto, La “tolleranza repressiva” dell’omosessualità, in Omosessuali e Stato, Il Cassero, Bologna 1988, pp. 37-57.
- ↑ Camera dei Deputati, Progetto per il codice penale per il Regno d’Italia, Roma: Stamperia Reale, 1887, I: Relazione ministeriale, pp. 213-214.
- ↑ Stefano Bolognini, Una famiglia normale, Sonda, p. 26.
- ↑ Fatto a cui ha assistito personalmente Stefano Bolognini
- ↑ Anonimo, “Uno spettacolo che deve finire”, “Il Giornale di Brescia”, 12 novembre 1975, p. 8.
- ↑ Lettera firmata, Lettere al direttore, “Bresciaoggi”, 16 novembre 1975.
- ↑ Anonimo, Dove cantano le cicale, “Doppio Senso”, 4 Novembre 1978.
- ↑ Dhij Mot, Testimonianza da Brescia, in “Lambda”, anno 3, n. 11/12, febbraio 1978, p. 10.
- ↑ Tani Ferioli, ‘Rimorchiare a Brescia, “Doppio Senso”, 11 Novembre 1978.
- ↑ che contattato da Stefano Bolognini dichiara di essere all’oscuro dell’omaggio: “mi firmavo nome e cognome, che bisogno avrei avuto di uno pseudonimo?”, dichiarazione raccolta il 22 aprile 2012.
- ↑ Cf. tra gli altri articolo: Luca Tretini, Gay sullo schermo, un modo per conoscere, in “Il Brescia”, 30 giugno 2006; Luca Trentini, Stato e Chiesa? La società è ben più avanti, in “Il Brescia”, 7 luglio 2006