Sherlock Holmes e Watson: una lunga storia d’amore

da Gay.it 12 gennaio 2012 – Esattamente dove la pellicola cinematografica si è bruscamente inceppata è arrivata la finzione letteraria, e l’amore tra Sherlock Holmes e Watson ha trovato finalmente una narrazione appropriata e convincente.

In Mio diletto Holmes l’amore profondo tra le due icone del giallo, solo vagamente accennato  nel film campione di incassi Gioco di ombre, è quanto mai palese. E il lungo racconto di Rose Piercy, apparso nel 1988 ma tradotto in italiano solo oggi, offre finalmente certezze definitive sul legame tra i due lasciandosi alle spalle oltre 100 anni di dubbi in libri (come Le avventure sessuali di Sherlock Holmes del 1971 ma mai tradotto in italiano), saggi, analisi e persino un blog) sul tema.

La narrazione prende le mosse dal ritrovamento dei taccuini confidenziali del dottor Watson che contengono il racconto di un nuovo intricato caso investigativo. È la signora Anne D’Arcy a chiedere aiuto all’investigatore del crimine: “l’amica” con cui condivideva un signorile appartamento è infatti scomparsa lasciando solo un vago biglietto. Per Watson, molto compiaciuto nel raccontare al lettore i sui incontri proibiti con maschietti londinesi di ogni classe sociale, il rapporto d’amore tra le due donne è palese. Ma anche l’elegante signora Anne, dopo una chiacchierata che rappresenta un capolavoro di detto e non detto, riconoscerà in Watson un frequentatore di locali “ambigui”  e “discreti” innamorato fino al parossismo del detective dagli occhi grigi. Lo stesso Sherlock Holmes che, generalmente più deduttivo, sembra proprio non capire quello che sta gli accadendo intorno.

Tutta la narrazione, calata negli anni del processo Wilde spesso richiamato dai protagonisti, è un gustoso parlare in codice di amori gay con uno stile nostalgico esattamente sovrapponibile (è brava l’autrice e ottimo il traduttore) a quello dei romanzi di Conan Doyle. Il re dei detective, catapultato dal trapassato al presente con lo stesso redingote e le medesime pipe, resta impettito a risolvere il caso del momento e del tutto incapace di rapportarsi con la propria omosessualità e con l’affetto palese dell’assistente. E non fa proprio una gran figura trasformato, dalla penna divertita e divertente della Piercy, in idealtipo dell’omosessuale “velato” (quell’omosessuale che lo nasconde) di ieri e di oggi.

E sarà così pavido (e spaventato) da confessare a Watson i suoi dubbi sulle frequentazione dell’assistente: “qualunque frequentazione di questo tipo sarebbe a dir poco dannosa per la mia carriera”; e, ancora, da suggerire all’unico amico: “si metta al di sopra dei sospetti… prenda una moglie e si sistemi”.

La repressione dei propri affetti ha un costo elevato per Holmes: abuso di cocaina, parossismo e continue depressioni. Dall’altra parte ci saranno sempre le attenzioni di un premuroso (e insolitamente arguto) Watson in perenne adorazione della vita dei due a Baker street, del caratteraccio dell’amato, dei loro abiti, dell’odore del tabacco e delle espressioni dell’altro. Ma l’amore sofferto fin qui non avrà sbocchi e i due saranno costretti, dopo la soluzione del caso, a separarsi: il narratore sceglierà un matrimonio di copertura mentre l’inquilino di Baker street, ormai solo, dedicherà tutte le sue energie a incastrare il nemico di sempre il re del crimine Moriarty (e di evitare a Watson il ricatto di alcune marchette). Ma Rose Piercy, convinta che Connan Doyle volesse “farci dedurre che Sherlock Holmes era gay”, tallonerà stretto quell’amore inespresso fino alla sua realizzazione.

Mio diletto Holmes è un racconto piacevole e che sorprende per la grande capacità di far rivivere le atmosfere dei grandi gialli di Conan Dyle. Di più è in grado di emozionare per la sua genuina ricerca di verità: “quando si è eliminato l’impossibile, qualunque cosa rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità” ricorderà proprio Watson.  E che Sherlock Holms e Watson si sono amati profondamente è una verità quantomeno elementare. Se sono anche andati un po’ oltre lo può facilmente dedurre il lettore.

Stefano Bolognini ⋅

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