I registri delle unioni civili: il bilancio di una battaglia che continua

Dal mensile “PRIDE”, maggio 2012 – Utili o no? I registri delle unioni civili sono tornati di attualità negli ultimi tempi e nel loro piccolo sintetizzano alla perfezione lo stallo della battaglia per i diritti delle famiglie omosessuali italiane. Proposti da Arcigay a partire dai primi anni ’90, e sostenuti negli anni con decrescente interesse dal movimento glbt, vivono oggi di vita propria e la lista delle giunte comunali che li approvano continua ad allungarsi.

L’idea originale era, come spiega Franco Grillini che da presidente di Arcigay “importava” i registri dall’Olanda, “prendere ispirazione dai registri olandesi, istituiti in decine di comuni. La loro approvazione trainò in quel paese il riconoscimento parlamentare del matrimonio gay. In Italia sarebbero dovuti servire, in prima battuta, per incentivare, favorire, sollecitare e spingere la battaglia parlamentare per le coppie di fatto. I registri poi avrebbero interpellato finalmente il paese a livello locale, quando non si parlava per nulla di questi temi. Anche questo era un obiettivo importante e posso dire che è stato ampiamente raggiunto”.

Un elenco di registri, aggiornato faticosamente dal sottoscritto e pubblicato sul sito Enciclopegaya.com, conta oltre 80 comuni italiani che hanno detto “sì” alle coppie gay. A partire dal pionieristico registro conquistato a Empoli nel 1993 (e passato indenne dai ricorsi amministrativi del centrodestra), i registri comunali delle coppie hanno fatto davvero molta strada.

Molte delle principali città italiane – con eccellenti, rare o macroscopiche eccezioni che vedremo – si sono dotate di un registro vero e proprio o di una qualche altra forma di riconoscimento per le coppie di fatto (come per esempio la certificazione di famiglia anagrafica). È il caso di Napoli, Bologna, Firenze, Bari, Palermo, Padova, Ravenna. Ma ci sono anche innumerevoli città di medie dimensioni come Ancona, Ferrara, Pisa, Pescara, Bolzano, Perugia, Macerata, Savona e decine e decine di altre.

Hanno dato poi cittadinanza simbolica alle famiglie gay anche una infinità di micro-comuni, borghi o comunità tanto piccole quanto avanzate, come Colle di Val d’Elsa in provincia di Siena, Zumaglia in provincia di Biella, Arco in provincia di Trento. Siamo ormai al paradosso che una coppia gay può iscriversi al registro delle unioni civili nell’europea Sesto Fiorentino, o sotto la misconosciuta torre estense della civilizzata Copparo o, perché no, nella moderna atmosfera di Rosignano marittimo, ma non ancora nelle uniche due metropoli italiane, Roma e Milano, che senza timore di apparire molto provinciali hanno bocciato il registro rispettivamente nel 2007 e nel 2008.

Hanno fatto peraltro la stessa scelta di chiusura almeno altri 20 grandi comuni, come Brescia, Grosseto, Latina e Bergamo. Altri sette importanti comuni, tra cui Siena, Torino e Modena, hanno invece approvato e sostenuto mozioni per sollecitare il parlamento a legiferare sui diritti delle persone omosessuali. Ma come ben sappiamo camera e senato, in Italia, a certi stimoli proprio non rispondono.

Stando ai numeri, insomma, oltre un centinaio di comuni (e tutti i “grandi”) hanno perlomeno discusso di registri, di coppie di fatto e di famiglia gay. Perciò l’obiettivo originario di creare dibattito a livello locale è stato effettivamente centrato. Si è andati anche un po’ oltre, tanto che i registri hanno ormai una autonoma esistenza politica anche dopo essere stati sostanzialmente abbandonati come strategia di ampio respiro dalla militanza glbt italiana. È successo così di recente che a Berra, comune di 5832 abitanti in provincia di Ferrara, abbiano approvato un registro senza coinvolgere nell’iniziativa il movimento glbt. “Ritengo importante”, ha commentato il sindaco, “che la pubblica amministrazione scelga di riconoscere le coppie di fatto in quanto formazione sociale naturalmente presente in società”.

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La storia però non finisce qui perché, come ci informano le cronache, anche Milano ha intenzione di inaugurare un proprio registro delle coppie di fatto: la giunta Pisapia attende solo, con una buona dose di ipocrisia politica, la conclusione delle celebrazioni in pompa eucaristica del VII Incontro mondiale delle famiglie e la dipartita di papa Benedetto XVI dalla città per eguagliare in audacia l’esempio di Berra. A Roma invece è in campo una proposta di delibera popolare, sostenuta dai radicali di Certi diritti, dall’Idv e da oltre 20 sigle dell’associazionismo locale, che chiede il riconoscimento delle unioni civili (non un vero e proprio registro). L’iniziativa sta riscuotendo un certo successo e l’obiettivo di raccogliere 5.000 firme per rafforzarla, come spiega il sito teniamofamiglia.blogspot.com che pubblica decine di foto di coppie di tutti gli orientamenti, sembra essere davvero a portata di mano.

L’obiettivo primario di spingere il parlamento ad agire, che come abbiamo visto stava alla base dell’idea dei registri, non è invece stato raggiunto neanche lontanamente. E anche quello secondario di stimolare il dibattito va analizzato in modo più approfondito per fare un bilancio di questa ventennale battaglia.

Un dibattito infatti va giudicato anche per la sua qualità e quanto visto in Italia, alla presentazione di ogni registro in consiglio comunale, non appassiona. Abbiamo assistito a tutto e al contrario di tutto: vescovi pronti a lanciare anatemi, Partito democratico che perde pezzi, frena o frana mentre più raramente è il Pdl a dividersi, tra esponenti locali e liste civiche all’arrembaggio delle cronache nazionali e omofobia diffusa a go go nelle aule consiliari.

Ogni dibattito evidentemente ha una propria storia, ma delle linee di tendenza unitarie si possono individuare. Emerge con chiarezza che dietro a ogni registro approvato c’era la sinistra radicale che non c’è più, quella di Rifondazione o quella di Sinistra Alternativa, o un outsider come il sindaco de Magistris, mentre dietro a ogni registro bocciato c’è sempre il centrosinistra dei distinguo del Pd. È di Veltroni-Bertone la responsabilità della bocciatura del registro di Roma, mentre quella di Milano, nel 2008, ha visto i consiglieri Pd di matrice Margherita votare beatamente insieme al centrodestra (che vota irrimediabilmente sempre e ovunque contro i registri). E Milano non è un caso isolato: in decine di comuni il centrosinistra ha detto contemporaneamente “sì” e “no” ai registri, spaccandosi.
Anche l’utilità pratica dei registri è un forte argomento contro questa battaglia ormai datata: per le coppie, l’iscrizione, come già accennato, è solo simbolica (ha valore come mera certificazione) e non determina diritti né tantomeno doveri. Alcune analisi giornalistiche si sono poi soffermate sulla scarsa adesione popolare ai registri comunali, decretandone il fallimento senza andare più in là di una conta del numero delle coppie iscritte. È il caso di un articolo de Il Sole 24 ore del 2008 che sostiene che “non si riscontra, però, molto successo da parte della cittadinanza visto lo scarso numero di iscrizioni”: “A Padova in poco più di un anno hanno chiesto la registrazione 28 coppie, delle quali due omosessuali… A Firenze si sono iscritte 57 coppie in sette anni (tra cui sette omosessuali)… Nei due comuni toscani di Scandicci e Campi Bisenzio rispettivamente 15 e 3 in nove anni”.
Allo stesso modo fa le pulci all’“inutilità” dei registri, nel febbraio di quest’anno, anche il quotidiano dei vescovi Avvenire: “A Trento il registro, attivo dal 2006, conta 23 coppie (solo due si sono iscritte nell’anno passato); a Bolzano (dove le coppie di fatto possono registrarsi all’anagrafe dal 2003) dal comune fanno sapere che si viaggia su una media di ‘3 o 4 all’anno’, ma la cifra è ‘ottimistica, visto che non se ne parla e nessuno sa che esista’; nel comune di Arco (registro attivo dal 2005) resiste una sola coppia, visto che le altre tre hanno deciso di cancellarsi (due si sono sposate, una si è separata). Pisa conta su un registro che ha ormai 15 anni, ma vi aderiscono (il dato è dell’estate 2011) appena 32 coppie, Firenze arriva a 73 in dieci anni, Padova si ferma a 50 (di cui 10 – viene fatto sapere – sono formate da omosessuali)”. Strano comunque che la fragilità dei motivi concreti per i quali una coppia dovrebbe registrarsi non siano oggetto di discussione.

C’è infine un elemento di sopraggiunta pericolosità nei registri, attestato dalla loro diffusione tanto capillare quanto sospetta persino nei consigli di quartiere o nei municipi. Concedere un registro sembra ormai diventato l’unico e solo provvedimento (non a caso simbolico) che le istituzioni sono disposte a offrire a omosessuali e lesbiche, il classico “contentino” che mette il cuore in pace a giunte e amministratori miopi sulla questione glbt e che altrimenti dovrebbero fare qualcosa di concreto per i gay. Come mai a livello locale non sentiamo mai parlare di investimenti per attirare il turismo gay, di promozione di una socialità localizzata in quartieri gay, di incontri tra l’amministrazione e i gestori di attività glbt, di diffusione dei condom nei bar o di parificazione vera e propria delle coppie gay alla famiglia tradizionale per l’accesso all’edilizia popolare o agli asili? Insomma, non di solo registro vive l’omosessuale italiano, e questo messaggio ai comuni andrebbe tempestivamente recapitato.

Alla fine, i registri hanno esaurito la loro funzione? Sì, per Antonio Rotelli, presidente di Rete Lenford, associazione che sta offrendo molte soddisfazioni alla battaglia per il matrimonio gay nei tribunali italiani. “Portare avanti questa battaglia è un non senso”, ci spiega. “Alle coppie omosessuali non servono più iniziative simboliche. Sarebbe importante chiedere e ottenere dai comuni delibere nelle quali esplicitamente si impegnino a trattare le coppie omosessuali al pari di quelle eterosessuali sposate, riconoscendogli gli stessi benefici e parità di accesso a diritti e servizi di loro competenza. Lo stesso dicasi per le province e per le regioni che hanno addirittura una potestà concorrente con quella dello stato in molte importanti materie”.

Concorda Enzo Cucco, dell’associazione radicale Certi Diritti che ha lanciato la raccolta firme a Roma, e in una lettera pubblica al movimento dice: “Il certificato e il registro sono il dito, mentre la luna sono tutte quelle piccole/grandi riforme che in ciascun ambito tematico possono essere operate secondo le competenze proprie dell’Ente”. Per Franco Grillini sarebbe bene “non abbandonare la battaglia. Dobbiamo riempire i registri di contenuti. È un passaggio complicato, che implica consapevolezza e studio”.

E sarà probabilmente anche l’immediato futuro di questa battaglia.
D’altra parte, se un nemico giurato dei diritti degli omosessuali come Avvenire riconosce che i registri sono “ pezzi di carta spesso intonsi e tuttavia dotati di valore simbolico e politico enorme per chi sostiene la necessità che le ‘nuove famiglie’ siano equiparate a quelle tradizionali”, restano forse un’occasione che non possiamo lasciarci sfuggire.

Stefano Bolognini ⋅

3 commenti

  1. giuseppina la delfa

    interessante sintesi. peccato che non abbiate citate le mie personali riflessioni critiche sui registri. contrariamente a quanto detto qui, se non ci sono diritti, i registri così come il certificato di famiglia anagrafico che è possibile sottoscrivere in TUTTI i comuni d’Italia, implica diversi doveri di tipo economico e o comunque conseguenze economiche spessissimo a svantaggio delle coppie soprattutto s e hanno figli.

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