Se la ricerca sul web delle parole “queer” e “Roma” offre più di 400 mila risultati, mentre “queer” e “Milano si ferma a “soli” 200 mila, è probabile che qualcosa di interessante si stia muovendo nel ventre della Capitale.
Il “queer”, semplificando molto, è una corrente di pensiero che critica l’uso di termini come “gay” o “eterosessuale” per definire gli individui e che ha avuto larga diffusione, accompagnata da notevole produzione nella saggistica soprattutto nelle università statunitensi. E’ quella “q” che ha trovato spazio nella sigla “lgbtqi” (lesbo, gay, bisex, trans, intersex e appunto queer) quale sintesi impronunciabile della nostra variegata comunità e che rappresenta coloro che, non propensi a definirsi, sostengono che l’identità sessuale di un individuo sia in qualche modo fluida e i generi siano confusi.
Un primo impatto con il queer capitolino offre un’idea molto chiara di tutta questa confusa fluidità.
Il Ducati caffè ad esempio, propone un “venerdì queer” che vede “a grande richiesta”, “Tasha, Tiffany e Le Dayama che come moderne Re Mida, saranno magneticamente attratte dall’oro che si staglierà luminoso sui loro abiti… brillanti, labbra scintillanti per sedurre e divertire a ritmo di musica, con i riflettori puntati su quattro splendide drag queen”. L’offerta, nel caso specifico, più che queer sembrerebbe quella di un comunissimo spettacolo di travestite. Il confine queer è comunque molto labile e il travestitismo è annoverato tra le sue pratiche.
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Un poco più indistricabile invece è il caso di “Queer The Core” (che pronunciato in romanesco diventa un perfetto quir de core), una one night disco di qualche mese fa, che si ispirava secondo un utente del web “al filone americano del Queercore, ovvero i punk della scena glbt (e non “q”, ndr.) che avevano voglia di rompere i coglioni… alla comunità homosex imbolsita. Mentalità straight (etero, ndr.), mormorio punk-electro, party slabbrati e ubriachi. Ingresso gratis per le vecchine con cresta viola”. Riassumendo, ci troviamo di fronte ad una serata queer, con mentalità etero, distante dalla comunità gay, ma ispirata alle serate glbt punk. Se il materiale sembrerebbe davvero utile per uno studio psico-patologico sulla confusione di categorie e la deriva di definizioni, c’è fortunatamente chi giura, ed è tra i ben informati, che il “vero” queer romano sia altrove.
E in effetti le nottate cosìdette queer preferite dalla comunità gay della Capitale si concentrano intorno ad Amigdala, un progetto di “corpi vari e generi diversi” con musica elettronica, culture queer, presentazioni di libri e teatro o ad Atomic, o, ancora a La Roboterie e altro. Sono tutte affollate one-night disco che ospitano dj internazionali che in ambienti underground mixano ottima musica elettronica a video arte e performance d’effetto. Il pubblico (barbe e no fashion) che evidentemente non sente la mancanza di Britney Speaers è misto, ma a larga e solenne maggioranza gay… ehm, volevo dire queer.
Questo queer rivisitato come una precisa strategia di marketing non gay ha promosso uno piccolo, ma interessante movimento culturale.
Il suo centro nevralgico è il Pigneto, un quartiere popolare non facile della primissima periferia di Roma, dove due gallerie d’arte espongono queer art e sono almeno due le serate a tema queer.
Proprio al Pigneto si è tenuto, nel maggio scorso, Queering Roma, un festival di cinema a tematica lgbtq organizzato dall’Associazione Armilla. Il gruppo che ci tiene a sottolineare di non avere come denominatore comune la militanza omosessuale punta il dito sull’assenza nella Capitale di “un festival del cinema lgbtq, né un premio, né una rassegna che abbia un carattere istituzionale dedicata alla filmografia omosessuale”.
Della movida queer romana, infine, si è appropriata persino l’immancabile politica e nell’ottobre 2009 nasceva Queer.Sel, una espressione di Sinistra e Libertà “che si impegnerà per affermare dall’interno del nuovo soggetto politico della sinistra italiana la cultura delle differenze”. Tra i fondatori Celeste Buratti, Guido Allegrezza, Saverio Aversa e Mauro Cioffari, nomi celebri della militanza gay romana, alla ricerca di una sperabile sintonia con il queer di sinistra. Gira e rigira, insomma il queer finisce per avere davvero molto del buon, caro, vecchio, certo e, perché no simpatico gay. (pubblicato in “Pride”, n. 132, giugno 2010, p. 46)