Pisa può essere annoverata tra le città più friendly d’Italia. Offre, infatti, agli omosessuali un circolo Arcigay molto frequentato, un clima tollerante, un bar gay, una sauna, e, a poco meno di venti minuti d’auto, una meta turistica estiva: la Versilia. Una coppia gay può iscriversi al registro delle unioni civili e, sempre a Pisa, si trova la sede della redazione del sito gay italiano più visitato: www.gay.it, nato, manco a dirlo, su iniziativa di tre pisani.
Evidentemente esistono alcune carenze: manca solo una libreria gay, un negozio di gadget gay, un archivio gay, ma, lungo l’Arno si respira un’aria decisamente “arcobaleno”. Come può, una città relativamente piccola, in poco meno di otto anni, diventare così ospitale verso gli omosessuali?
Secondo Christian Panicucci, attuale presidente di “Arcigay Pride! Pisa”, il merito è da attribuirsi essenzialmente «alla visibilità di quella generazione di oggi “quasi cinquantenni”. Una ventina d’anni fa, D’Alema era consigliere comunale a Pisa e Amato studiava all’università di questa città. Quella generazione non è riuscita a “contagiare” gli attuali big, ma ha aiutato l’attuale classe dirigente cittadina a far capire le ragioni di noi gay e lesbiche. Molto si deve anche all’Università con i suoi 50.000 studenti, gente nuova che non ha problemi di controllo sociale. Ultimo fattore, se me lo concedi, un Arcigay che ha sempre cercato di non essere autoreferenziale, ma è stato in piazza e il suo motto era We serve gay and lesbian community».
Mi presento presso la sede del circolo per osservare da vicino la realtà pisana. In un ambiente decisamente accogliente, una decina di ragazzi chiacchierano intorno ad un tavolo, in un angolo un televisore è sintonizzato su Videomusic e proietta l’ultimo video di Madonna che fa sospirare rumorosamente una giovanissima lesbica «A bona!» ed anche alcuni gay; in un perfetto esempio di quanto possa essere misteriosa la globalizzazione. Lungo una parete due librerie contengono una buona biblioteca di circa trecento volumi e sono disponibili numerose riviste gay. Un altro angolo è adibito a piano bar e alle pareti sono affissi un orologio “Pride”, alcuni “storici” poster Arcigay, una vetrinetta che contiene gadgets in vendita (non mancano i preservativi) e un cartellone mostra un maschio ‘ignudo’ decisamente invidiabile.
Riccardo Gottardi, ventitreenne, mi presenta il gruppo giovani gay di Pisa. Hanno dai sedici ai ventitré anni e discutono, del più e del meno, in un piacevole caos. Un adolescente, Enrico, si fa dare il numero di telefono di un gay del suo paese, un sedicenne dice di essersi innamorato di un operaio che ha intravisto in stazione, un ragazzo cerca un libro sul rapporto fra gay e cattolici, una ragazza chiede se la trovo eccessivamente mascolina e ci racconta le sue peripezie amorose mentre un universitario chiede lumi su di un esame ad un collega attento. Secondo Riccardo i giovani che si rivolgono al circolo chiedono soprattutto «convivialità. Vogliono conoscersi e fare amicizia come ordinariamente fanno gli adolescenti eterosessuali. I gay difficilmente si confrontano. “Pride!” offre un ambiente tranquillo e sicuro. I giovani che ci frequentano quando si recano per la prima volta in locali gay sono in compagnia di coetanei. L’inserimento nel mondo gay è decisamente facilitato, non si sentono soli». Il lavoro del circolo è aiutato dalla presenza a Pisa di una famosa università. Infatti, aggiunge Riccardo, «molti giovani soprattutto meridionali frequentano l’università e vivono lontano da casa. Chiaramente si sentono più liberi e si presentano senza troppi problemi al circolo che è aperto tutti i giorni grazie ad un obiettore».
Paolo, un universitario di diciannove anni calabrese, poco meno di un mese fa si è presentato alla sede di «Pride!». Oggi racconta: «In Calabria non si faceva nulla. Ho conosciuto ragazzi esclusivamente nei luoghi di battuage all’aperto, ma ho incontrato solo gente sposata o che era lì per sesso. Giù sono rari i giovani che cercano una storia. La vita qui è completamente diversa. Qui l’omosessualità è vissuta in modo più tranquillo, libero e pulito. La dimensione che vivo ora è più vicina a ciò che avrei voluto prima: arrivare qui è stato un riscoprirsi. Per la prima volta ho parlato con dei coetanei sentendomi una persona normale. Prima non parlavo con nessuno ora chiacchiero con degli amici». Difficile pensare a cosa farà Paolo una volta tornato in Calabria. Lui dice: «Tornare giù sarà una pausa e poi si risale!».
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La ferma politica di visibilità, scelta dalla presidenza del circolo di Pisa, ha dato frutti insperati. Chi si presenta viene seguito in un percorso informativo grazie anche ad alcuni volantini che trattano di temi irrinunciabili per un omosessuale «Pride!» e che vanno dall’immancabile visibilità, alla coppia, al rapporto con la famiglia senza dimenticare la tutela dall’AIDS e l’identità gay, che qui non è nemmeno discussa, è un dato di fatto.
Non solo i giovani vengono coinvolti in questo progetto di visibilità. Il presidente del circolo sta seguendo un gruppo di persone fra i trenta e i cinquant’anni che «hanno più difficoltà dei giovani a uscire allo scoperto. Non stupisce più il sedicenne che arriva al circolo e dice di averlo detto “a mamma” a quindici anni, dai trent’anni in su è molto più difficile». Così è nato, aggiunge Christian Panicucci, «un gruppo che si chiama C.i.c.o. che sta per come in, coming out. Non è una pratica sessuale ma vuol dire venire al gruppo per uscire fuori. Tutta l’attività è incentrata sull’accettazione di se stessi facendo più pratica che discorsi sul giusto o corretto». Così forum virtuali (organizzati anche in Chat room), passeggiate in centri commerciali, appuntamenti in un bar saranno utili per incominciare a confrontarsi. Chissà mai che si possa portare un po’ di libertà anche in quegli ambiti.
Impossibile sarebbe, a questo punto, riportare tutte le innumerevoli iniziative del circolo. Tra le più riuscite non si può dimenticare l’istituzione del registro delle unioni civili. Tale registro, non comporta per i sottoscrittori effetti reali e questo, probabilmente, è il limite che ha portato ad un esiguo numero di iscrizioni. Rimane comunque un ottimo risultato politico e culturale ottenuto tra numerose difficoltà. Sonia Bernardini, prima firmataria della proposta di legge che ha portato all’istituzione della legge, dice: «I pisani al di là dei titoli gridati dai giornali hanno parlato molto del registro. Era questo il risultato che si voleva ottenere L’importante era che venissero allo scoperto queste realtà poco accettate rispettate nella loro dignità e importanza. Il significato non poteva essere che simbolico. L’istituzione serve a promuovere il pubblico rispetto delle unioni civili».
Oltre a questo Pisa vanta due iniziative commerciali di tutto rispetto: Gay.it e Friendly Versilia. Quest’ultima, voluta da «Pride!» voleva portare parte del turismo gay in Toscana. I risultati e la spiaggia gay è diventata fra le mete irrinunciabili per pisani e non. È bastato che i commercianti si rendessero conto di quanto fosse remunerativo accogliere gli omosessuali, per passare dal silenzio, alla tolleranza, ma con beneficio di inventario. I locali sulla spiaggia seguono i criteri di visibilità voluti da «Pride» e Riccardo Gottardi spera che molti gay «tornati a casa si ricordino della visibilità di qui e rammentino di non essere così diversi. In fondo noi gay italiani non siamo così sfigati come vogliamo farci credere».
A queste iniziative commerciali e “dichiarate” a Pisa hanno aperto numerosi negozietti per gay. Non si spiegano altrimenti le numerose botteghe che vendono oggetti che spesso figurano negli appartamenti dei gay, dalle candele all’artigianato tribale, passando per gli incensi. Un parrucchiere ha esposto una bandiera arcobaleno, e un altro, in una piazza lì vicino offre un ambiente decisamente camp. Dalle vetrine si intravedono, in un ambiente in cui il lilla e l’oro sono i colori predominanti, gli “ignari” clienti ricoperti da asciugamani zebrati. Anche questa è Pisa.
Possibile che sia tutto così semplicemente perfetto? L’avvocato Ezio Menzione esprime qualche dubbio in merito: «Sono tre anni ormai che siamo senza un locale gay e in più non c’è alcun punto di aggregazione che non sia nell’Arcigay «Pride!». Da un lato è vero che il circolo ha svolto un lavoro positivo e l’accettazione dall’omosessualità da parte dei pisani è buona, ma l’associazione raccoglie soltanto la parte più visibile di Pisa. Ne esiste un’altra nella quale si respira un’aria diversa da quella che si respira lì. Mi sembra poi un grosso limite l’istituzionalizzazione del circolo, soprattutto con comune e provincia. Attorno all’Arcigay ruotano iniziative commerciali come Gay.It e Friendly Versilia, iniziative forti e monopolistiche, da cui sarebbe meglio salvaguardarsi».
Concludo la mia giornata pisana chiedendo a due ragazzi di accompagnarmi in batuage, non si sa mai che emergano novità. Passiamo velocemente in un parcheggio, squallido, nei pressi del fiume Arno. Uno sparuto gruppo di persone bercia del più e del meno. Proviamo un approccio dall’auto; due “velate” ci rivolgono un «ciao» gelido. Il ragazzo alla guida mi dice di essere odiato da quelli che battono: «Noi dichiarati ci divertiamo, loro sono solo gelosi.». Forse quel saluto “siberiano” era dovuto alla temperatura invernale, ma, rispetto a quanto visto fino ad ora, ho la chiara percezione di trovarmi di fronte ad un “passato remoto”, almeno per Pisa. (pubblicato in “Babilonia”, febbraio 2001 con il titolo Ohi Pisa vituperio delle genti…)