Sbaglierebbe chi pensasse che la recentissima traduzione italiana di Les oubliés de la mémoire (Triangolo rosa, Manni editore, 18 euro) sia soltanto un testo sulla sanguinosa persecuzione nazista degli omosessuali.
Il saggio è sì una cronaca esauriente dell’escalation di violenze che subirono gli omosessuali sotto la dittatura nazista ma, di più, si chiede perché il ricordo di quegli avvenimenti, molto sentito in altre minoranze, sia stato dimenticato o, peggio, sia censurato e negato.
Il tema è totalmente inesplorato per il lettore italiano.
L’autore, Jean Le Bitoux, giornalista di “Libération”, fondatore nel 1979 del giornale gay “Gai Pied” e presidente del “Mémorial de la Déportation Homosexuelle”, si batte da almeno due decenni perché anche i Triangoli Rosa acquisiscano la dignità di vittime che fino ad ora è stata loro negata.
Ma incominciamo dalla cronaca di quegli orrori e torniamo indietro fino agli anni trenta…
“Dinnanzi ai miei occhi una folla multicolore di 400, 500 persone al ritmo di un’orchestra eccellente Tutti i ballerini sono travestiti… ci sono soltanto uomini”. Eccoci in un celebre locale gay di Parigi che nulla avrebbe a che invidiare a quelli che frequentiamo oggi. A qualche migliaio di chilometri Berlino: “L’intera sala rigurgita di uomini e di giovani rumorosi, declamanti, dai gesti eloquentemente carezzevoli”.
La scena gay internazionale è frizzante e non si contano le iniziative tese all’emancipazione dell’omosessualità. Magnus Hirschfeld raccoglie con il suo Comitato Scientifico umanitario migliaia di firme per l’abolizione del paragrafo 175, un articolo del codice penale tedesco che criminalizza l’omosessualità, sono pubblicati almeno trenta periodici omosessuali e circa duecento testi gay all’anno e, alcuni gay, timidamente escono allo scoperto. Si lasciavano alle spalle i secoli del buio moralismo delle condanne religiose. La speranza sembrava aver vinto. Le campane ricominceranno a suonare a morto nel 1933.
“L’odio nazista – come dice Le Bitoux – travolge ogni cosa al suo passaggio: i centri di ricerca, i beni culturali, i commerci, i mass media, le organizzazioni sociali” e gli omosessuali.
Basti un discorso di Heinrich Himmler per comprendere le intenzioni dei nazisti nei nostri confronti: “dal 7 al 10% di uomini sono omosessuali. E se la situazione non cambia, ciò significa che il nostro popolo sarà annientato da questa malattia contagiosa… un popolo che ha molti bambini può ambire al dominio del mondo. Un popolo di razza nobile ma che ha pochissimi bambini possiede solo un biglietto per l’aldilà…” Così incominciarono le retate sistematiche che il testo ci fa rivivere in nell’angosciante ricordo di numerosi testimoni.
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Arrestati, interrogati, spesso torturati; dalla speranza alla segregazione e all’orrore il passo fu talmente breve che molti non ebbero nemmeno il tempo per rendersene conto. Qualcuno, Hirchfeld per esempio, riuscì a fuggire dalla Germania di moltissimi altri abbiamo perso ogni traccia. Le cifre, documentate, si commentano da sole: “Più di 100.000 omosessuali vengono indagati, 60.000 sono in prigione e oltre 10.000 in campo di concentramento, di cui i due terzi moriranno”.
Le Bitoux insiste raccontando l’orrore dei campi di concentramento attraverso altre testimonianze.
Pierre Seel, tra i primi omosessuali deportati che trovò il coraggio di ricordare, racconta: “Ogni volta che gli altoparlanti pronunciavano il mio nome ero terrorizzato perché a volte era per praticare su di me delle mostruosità sperimentali, il più delle volte consistevano in numerosissime punture alle mammelle…”. Le atrocità a cui è stato sottoposto Seel sono state pubblicate integralmente in un testo di cui Le Bitoux è coautore, Moi, Pierre Seel, déporté homosexuel edito da Calmann-Lévy nel 1994, mai tradotto, chissà perché, in Italiano.
Insieme ad altre testimonianze sulla vita degli omosessuali internati il giornalista francese affronta con coraggio il tema della sessualità nei campi di concentramento.
I carnefici erano consci di dover controllare la sessualità nei baraccamenti. “Relazioni omosessuali – afferma il comandante di Auschwitz Rudolph Höss – si erano stabilite tra gli internati”. La sorveglianza avrebbe dovuto essere particolare: mani bene in evidenza sulla coperta, controlli notturni e punizioni per chi veniva scoperto.
Le vittime ricordano: “Siamo lontani dalla sessualità, dal piacere condiviso, trovandoci piuttosto a che fare con una situazione di estrema umiliazione”. Ancora Le Bitoux discute la pratica di intrattenere relazioni sessuali con i Kapò quei prigionieri addetti alla sorveglianza e all’ordine nei capi di concentramento. Heinz Heger, un omosessuale internato, non nasconde che per salvarsi si mise sotto la protezione di uno di essi e anche un omosessuale olandese ricorda con dolore quei rapporti di sottomissione: “Bisogna accettare le conseguenze. Bisogna accettare di voler sopravvivere, anche in quel modo”.
Peccato poi che queste delicate testimonianze nelle mani di alcuni storici si trasformino in omofobia bella e buona: “L’immagine di quei primi mesi sarebbe incompleta senza ricordare un dettaglio divertente (sic)… c’erano due omosessuali… le due rose beneficiavano di alcuni privilegi (sic) da parte di qualche Kapò”.
Triangolo Rosa è, fino a questo punto, un testo prezioso perché colma un lacuna ignobile nella scarna storiografia italiana, vedi la bibliografia nel box, sui rapporti tra omosessualità e nazismo.
Ma il libro di Le Bitoux ha anche un valore aggiunto che sta nella puntuale analisi dell’oblio della memoria della persecuzione degli omosessuali. La Liberazione dimentica i gay. Le leggi antisemite sono promulgate, quelle antiomosessuali (anche leggi che non esistevano prima del nazismo) no. Solo nel 1960 una rivista omofila francese, “Arcadie”, accenna alla deportazione degli omosessuali tutto il resto è silenzio: “le dichiarazioni – conferma Le Bitoux – su quel massacro dimenticato non interessano a nessuno , le testimonianze sono rare, le prove sono insufficienti e nessun lavoro di storico è disponibile per saperne di più”. La cronaca del riconoscimento degli omosessuali come vittime del nazismo è penosa.
Ancora nel 1994 Pierre Eudes segretario generale del UNADIF “gli internati omosessuali tedeschi erano in primo luogo dei pedofili, e in quanto tali assimiliati ai carcerati comuni… non c’è nessuna ragione di dare qualche spazio agli omosessuali nella deportazione”.
Gli faceva eco, con la stessa ‘finezza’ d’analisi, Piero Buscaroli candidato del Movimento Sociale Italiano, a fianco di Silvio Berlusconi, alle elezioni Europee che proponeva la soluzione dei campi di concentramento per gli omosessuali: “Gli omosessuali sono dei frustrati, dei nevrotici che mi disgustano… Bisogna mandarli nei campi di concentramento”.
Il resto è la storia recente della lotta dei gruppi gay per riconoscere anche gli omosessuali come vittime del Nazismo e le immani difficoltà dei gruppi gay nel partecipare alle manifestazioni di ex deportati.
Triangolo Rosa è la vergogna di una discriminazione che dopo il Nazismo non è terminata. Ha solo cambiato forma. L’omosessualità “zerbino della storia” si prende finalmente la sua rivincita dando finalmente la parola agli umiliati.
Bibliografia essenziale su omosessualità e nazismo
- Circolo Pink (a cura di), Le ragioni di un silenzio la persecuzione degli omosessuali durante il nazismo e il fascismo, Ombre Corte, Verona 2002.
- Heinz Heger, Gli uomini con il triangolo rosa La testimonianza di un omosessuale in unn campo di concentramento dal 1939 al 1945, Sonda, Torino 1991.
- Massimo Consoli, Homocaust il nazismo e la persecuzione degli omosessuali,Kaos Edizioni, Milano 1991.
- Martin Sherman, Bent nazismo, fascismo e omosessualità, Gruppo Abele, Torino 1979.