Paolo Poli dietro le quinte

Paolo Poli ci racconta la sua omosessualità. Emerge il dipinto di un Novecento controcorrente dove l’omosessualità, seppur tenuta a distanza, diventa una lezione di libertà.

Paolo Poli ci racconta la sua omosessualità. Emerge il dipinto di un Novecento controcorrente dove l’omosessualità, seppur tenuta a distanza, diventa una lezione di libertà.

“Dirompente carriera”, “scandalo”, “l’enfant terrible del teatro italiano”, “talento prepotente e incasellabile”, “camuffamenti pazzi”, “goliardiche gags verbali”, “profonda e sensibile conoscenza dei fatti della vita”, “inimitabile falsetto”, “straordinario cocktail vivente dalle mille facce”, “camaleontico gusto per il trasformismo” e così via è quello che trovereste leggendo qualunque recensioni alle opere teatrali di Paolo Poli. Omosessuale? Sì e i critici non possono nasconderlo giacché l’attore più che settantenne è dichiarato da sempre. Rimane, come lui stesso ci conferma in quest’intervista esclusiva, che “i critici quando parlano della professionalità di un artista ne parlano come se vivesse nel vuoto senza domandarsi in quale mondo viva”. Cerchiamo di colmare questa lacuna chiedendogli ciò che nessuno non ha mai osato chiedergli.

Incominciamo dall’inizio. Quando e come si è scoperto gay?

Ho sempre saputo che mi piacevano di più i giovanotti dalle ragazze però nei giochi e negli affetti non ho mai distinto le due anime e non mi sentivo diverso dagli altri. Una delle mie prime infatuazioni è stato un fornaio. Era un omone grosso che mi pareva vecchissimo invece avrà avuto venticinque anni. Era sempre tutto infarinato. Gli correvo incontro, gli saltavo addosso e poi ero tutto infarinato anch’io. Mi faceva un omino di pane con chicchi di caffè per gli occhi e per la bocca che poi mangiavo pian piano durante la giornata. Ho scoperto l’altro mio grande amore di bambino quando la zia mi ha portato a vedere King Kong. Ho capito lì quale sarebbe stato il mio fidanzato ideale, ma, da ultimo, gli aeroplani me lo ammazzano mentre si sta arrampicato sull’Empire State Building. Immagina i miei strilli, le urla e i singhiozzi.

I suoi genitori erano a conoscenza della sua diversità?
Come no! Ero il primo maschio nell’epoca di una maschia gioventù “con romana volontà combatterà”. Fu mio padre a darmi i primi rudimenti sulla sessualità. Avevo sette od otto anni. Si era ammalato di tubercolosi e mi avevano levato da scuola. Non c’era la penicillina e lo mandarono a Como a respirare le arie balsamiche. Sono stato un anno con lui e parlava con me come un adulto. Gli chiesi come nascevano i bambini e mi rispose che nascevano dal pisello dell’uomo che schizza via una gocciolina dentro la “passerina” della donna e nel corpo della donna cresce e cresce e poi il bambino esce. Avevo sei fratelli e allora si partoriva in casa. Si scaldava l’acqua si stava fuori della porta la mia mamma non urlava mai ormai…era abituata…

…Ma come glielo disse?
“Vieni qua sor Camilla hai saltato la baionetta?” “No babbo avevo paura…” “Hai fatto proprio bene mi hanno rotto tanto i ‘coglioni’ anche me”.
A scuola volevano che si saltasse la baionetta. Io non volli saltarla e mio padre, che era maresciallo, mi ha fatto esonerare dalla ginnastica. Credo che mio padre lo capì allora. Ero portato per la danza per i salti e non ho mai voluto fare nulla di violento. Avevo preso in odio le armi quando mi regalarono un ‘fucilino’ con cui mi sparai nell’occhio. Tenni una benda per una settimana ma non volli più saperne d’armi. Mio padre mi voleva bene per quello che ero. Ho un suo splendido ricordo. Era carabiniere e guadagnava meno della polizia fascista. Non aveva molte simpatie per il fascio. Nella prima guerra mondiale era stato ferito e sapeva che le guerre non sono tutte rose e fiori. Mi ricordo di quando la radio annunciò il 10 giugno l’entrata in guerra dell’Italia che impallidì. Tutti gridavano per la gioia. Mi disse di entrare in casa e di non uscire a far casino. Quando c’erano le canzoni della guerra spegneva la radio: “Vincere vinceremo…” poi non si faceva altro che perdere…

E sua madre?
La mia mamma era una maestra montessoriana e riteneva che il bambino avesse sempre ragione. Insomma non ebbi mai screzi con i miei genitori. Erano entrambi gentili e premurosi. Avevano una cultura fine ottocento di quell’Italia di Mazzini e Garibaldi fatta a dispetto del Papa. Era davvero meglio… Io sono del ’29 e con il concordato, purtroppo, dopo la dittatura fascista ho avuto quella dei preti…

…Che perdura…
È perdurata con la Democrazia Cristiana che ora si rimpiange. Quei personaggi perlomeno rubavano meno e stavano attenti perché si preparavano il posto in paradiso. Ora siamo nelle mani dei bottegai e basta.

Torniamo all’omosessualità. Può raccontarci le sue prime esperienze?
Ebbi le ‘prime esperienze’ tardi. Ricordo una mia compagna di scuola che mi piaceva. Dissi a mio padre: “Babbo c’è una mia compagna di scuola così carina che sembra un ragazzo!”. Aveva i capelli tesi come un maschio. Le mie compagne avevano tutte i boccoli fatti con l’acqua e lo zucchero. Lei no tanto che mi pareva Tom Soyer. In più era carina e cattiva come me. Una volta ci si scambiò i vestiti a scuola dietro la lavagna e tutti i bimbi a ridere.

Era in una classe mista?
Sì. C’era la fila dei maschi e la fila della femmine. Io e lei ci si scambiava i compiti. Era straordinaria ora è morta ma mi volle bene per com’ero. Mi metteva un fiocco in testa. Arrivava la maestra e diceva “Poli cosa hai fatto?”. Avevo tanti capelli allora e mi piaceva buttarli indietro. Facevo lo stesso gesto di Alida Valli mentre cantava O campagnola bella…
In quel periodo ho avuto un’altra bimba, una zingara, che ho portato a casa e mi attaccò i pidocchi e li attaccai a tutti i miei fratelli. Una volta pisciammo insieme io nel water e lei bidè. Arrivò mia madre che non ci sgridò ma affermò che al cesso si va uno per volta perché fa cattivo odore. Ho un altro ricordo curioso delle elementari. Ero in terza quando una bambina cambiò sesso. Lo annunciò così la maestra: “La nostra compagna Valeria è diventata un maschio si chiama Valerio!”. Aveva visto male la levatrice. Ricordo che la famiglia avrebbe voluto cambiare città per la vergogna ma che male ci poteva essere? Valerio vedeva spesso mia madre che lo considerava uguale agli altri.

Ma non giocò a dottori nemmeno con un maschietto?
Avevo più che altro bambine d’intorno, da piccolo. Avevo ben pochi maschi e se c’erano erano lì per fare il teatro. Avevo una sorella bravissima a fare la strega e l’orco e a me non lo faceva fare mai. Facevo il principe, ero il più piccolo, che arrivava da ultimo a sposare la principessa ma non mi garbava tanto. Mi garbavano i cattivi…In teatro sono i cattivi che mandano avanti l’azione e la principessa si fa rapire e fa ben poco altro.

Lei ci nasconde le esperienze con i suoi compagni maschi.
Le esperienze vere, quelle infime, le ho più fatte tardi. Alle medie mi ‘riferivo’ a quei compagni di scuola degli ultimi banchi. Erano più brutti e tozzi e chiaramente assomigliavano a King Kong. Mi piacevano anche i negri. Era l’epoca della campagna d’Etiopia. Sulle carte assorbenti e sulle copertine dei quaderni c’era sempre un guerriero di una tribù. Mi piaceva moltissimo.

Lei è sempre stato un lettore attento. Quali informazioni veicolava la stampa sull’omosessualità?
Non se ne parlava. In periodo fascista l’omosessualità non era prevista non esistevano pene che la condannavano. L’uomo italiano era ‘normale’. La donna italiana era madre è sposa sublime.

Fu negli anni cinquanta che si cominciò a parlare di omosessualità. Giò Stajano fu, ad esempio, tra i primi a dichiararsi…
Giò Stajano faceva parte di un finto ambiente artistico dipingeva le mucche sul vetro. I veri pittori erano Morandi e Carrà. Per gli artisti c’è sempre stata una scappatoia…

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Lei ha scelto il teatro come scappatoia all’omosessualità?
No. Avevo cinque anni e – “Virgine Madre figlia di tuo figlio” – sapevo a mente due o tre pezzi della Divina Commedia. La memoria era la mia bravura. Ero di quelli pronti di parola e di memoria facilissima. Imparavo in un attimo, leggevo la poesia poi la ridicevo subito. Incominciai con il teatro a Milano nel sessanta in piccoli spettacoli per intellettuali o addetti ai lavori. Mi prendevano per una settimana e se andava bene mi tenevano quindici giorni. Poi Bologna tre sere, Firenze due sere e ancora a Roma con un teatro preso in affitto e pagato in anticipo. In due mesi finiva la mia stagione e quindi dovevo fare la televisione per i bimbi, il dischetto delle fiabe e così ho tirato avanti. La vita è lunga. Nel 1964 ho fatto Giordano Bruno. Non ti dico lo scandalo a Taranto e Bari… Però se non si fa così non si impara a non aver paura del pubblico. Gli devi far sentire che sei più ‘cattiva’ di loro. Il primo che morde ha ragione in teatro. Oltre a mordere altra mia peculiarità era che mi prendevo delle libertà. Ad esempio con l’abbigliamento. Nel periodo fascista non avevo la mantella, ma solo camicia e pantaloni e ci mettevo sopra un cappotto rosso con un cappello tirolese.

Anche sul palco tiene un abbigliamento ‘libero’ E’ vero che fu tra i primi a recitare en travestì?
No no. Anche Vianello faceva lo sketch delle indossatrici o della mamma e la bambina. Erano belli. Però una commedia intera vestita da donna probabilmente l’ho fatto io, per primo, in Italia.

Ebbe problemi con la polizia travestendosi?
A Roma nel 1967: vilipendio alla religione. Censurarono il mio spettacolo Rita da Cascia. Ero vestito da suora santa. Fu Scalfaro, che era Ministro dell’Interno ed era molto rigido, ad intervenire. Lo stimo faceva quello che riteneva giusto. Il teatro stette chiuso per una settimana. Poi mi è venuto in mente che avevo fatto insieme con una vecchia attrice di Firenze La nemica di Dario Niccodemi. Avevo l’età giusta per fare una mamma con due figlioli che vanno in guerra. Fece un grande successo e tutti venero a vedere una commedia da piangere che con me divenne da ridere. Vennero Blasetti con la Cegani, Rina Morelli con Paolo Stoppa e Peppino de Filippo.

Quali erano le reazioni del pubblico nel vederla travestito?
Si divertivano e ridevano perché ero curioso. Con La Nemica ho fatto un giro anche del Sud e fuori mi aspettavano bellissimi giovanotti…

…disponibili?
Disponibilissimi! Ce n’erano anche di ricchi che mi portavano a vedere le loro proprietà e mi dicevano: “Mi raccomando che non si sappia altrimenti mia zia mi leva l’eredità!”. Conobbi a Bari uno scaricatore di porto con cui andai in un night. Mi fece ballare il tango e una signora disse: “Ci portano via i mariti!”. Ribattei: “Signora cerchi di essere più interessante vedrà che il marito non glielo porto via. Poi non è una gran bellezza se lo tenga pure”. Rispondevo a tono. A teatro vennero anche le suore dell’ospedale. Ricordo tre palchi di suore tutte bianche che poi mi invitarono all’ospedale a mangiare con tutta la compagnia. Ho sempre trovato buona la gente del pubblico.

Si è mai sentito discriminato come omosessuale? E’ vero, ad esempio, che dalla televisione pubblica è stato allontanato?
No. In Rai una volta mi portarono in uno stanzino e mi chiesero se ero socialista. Io ero comunista e all’epoca la televisione era tutta democristiana. Poi passò nelle mani di Craxi.

Quale era la sua committenza? Un gay aveva committenti omosessuali?
Io ho sempre fatto da me. Committenza ne ho avuta poca. In epoca democristiana ero già una diva dell’operetta e un regista mi disse: “Paolo ti spiace se ti mettiamo un paio di baffi?”. Risposi “Bhe no nella Belle Epoque i baffi vanno bene”. Ribattè: “No Paolo ti rendono più virile”. Un poco infastidiva l’omosessualità ma io saltavo e ‘sgallettavo’ ugualmente e non me ne fregava nulla. Le famiglie poi vedono in televisione quello che siamo.

Ci può raccontare i suoi amori?
Sì l’uomo è completo e ha cervello, cuore e pisello. Il sesso è nel cervello e ho avuto amori affettivi per l’uomo. Ho amato uomini giovani. Mi piace ‘l’età evolutiva’ con le incertezze giovanili, l’insicurezza, la mancanza di appoggio e la solitudine di coloro che non si sono ancora capiti. Amo anche le malinconie dell’uomo che ha passato la quarantina è trascurato dalle moglie e sfruttato dai figli e cui nessuno dice più che è bello. Sai quanti ‘clienti’ ho avuto così?
Poi ho svolazzando da qua e da là e ho il vantaggio di non risiedere in nessun posto e quindi non rompo i coglioni e non preoccupa che debba farmi o vivo o meno. Non si sa nemmeno dove abito e come mi chiamo. Sono come una misteriosa straniera. Sono stato anche amante di uomini che andavano a letto con le mie amiche. Una di queste, celebre, rimaneva sempre in cinta. Gli uomini che prima venivano con noi erano abituati a ‘schizzare’ disinvolti…
Una volta, in periferia a Firenze, la dove poi hanno costruito la RAI, si fermavano i camionisti. Uno disse: “Vieni qua bimba”. Vado là. Si sbottona la cerniera e dice: “Tieni Baloccati!”. Mi sentii pinocchio nel paese dei balocchi…

Ha avuto fidanzati?
Ho avuto anche legami lunghi. Negli anni sessanta mi sono trovato pieno di debiti e un mio fidanzato olandese ha tirato fuori quindici milioni per me. Avevo avuto sempre dispetti e male dagli altri sono rimasto stupito. Lui era bianco di ciccia e sembrava morto mentre il negro è splendente. Ho capito che era una persona per bene e l’ho fatto impazzire. Arrivato a quarantenni mi lasciò dicendomi che aveva trovato un diciottenne biondo con i capelli azzurri. Aveva fatto troppo bene e glielo dissi. Rimasi suo amico fino alla fine. Ebbe un cancro e gli stetti vicino fino all’ultimo. Eravamo a Milano ci ubriacavamo e fumavamo tanto doveva ‘morì’. Sia chiaro che gli ho restituito i soldi.

Torniamo al Teatro. Poco fa ha detto che ‘Il primo che morde ha ragione in teatro’. Nel suo ultimo spettacolo Jaques il Fatalista più che mordere sembra azzannare. Ho visto il pubblico stringersi ai braccioli delle poltrone ad ogni sua battuta. Ne ricordo una in particolare: “Se Gesù cristo fosse stato impalato dove avrebbero le stigmate i Santi?”
Sul culo. Ma no [ride] ormai faccio solo prurito e ho molti acciacchi Oggi sono raffreddato ma se non avessi il mio lavoro e fossi in una città con la mamma le zie, le nonne le cugine che ti fanno l’impiastro e il decotto non guarirei più. Invece via con il decolté fra gli spifferi sul palco con alle spalle i pompieri. Avevo trent’anni ne ricordo uno che mi caricò in macchina e mi portò in mezzo alla neve e che voleva farne…non ti dico il freddo e il gelo. Poi mi ha portato in caserma a prendere un punch al mandarino e mi ha presentato anche il capitano. Un’altra volta conobbi a Udine una guardia forestale. Aveva nella caserma una cerva impagliata che chiamavano la povera “Pina”. Il capitano la amava e una volta morta l’avevano impagliata. Con il capitano ero appena stato dietro ad un cespuglio…
La gente è stata buona con me…oddio da vecchio poi ho fatto come tutte le signore anziane e sono stata generosa nelle mance…ma perché no…quando ero a Parigi a vent’anni come credi che mi mantenessi? L’esercizio di lingua non si impara solo alla Berlich ma anche trombando!

Per chi sale sul palco?
Per la libertà. Per l’illuminismo. Oggi c’è molta indigenza filosofica e nessuno ha mai letto nulla e anche i ragazzi più illuminati si baloccano con il computer e leggono soltanto la prima e ultima riga di un romanzo.

Come è riuscito ad essere libero di esprimersi sempre? Qual è il suo segreto?
Ho capito da subito che Arlecchino si confessava burlando. La diversità è stata la mia fortuna. Ho capito che quello che ero era un dono, non di Dio, ma della natura e dovevo adoperarlo. Il segreto è avere qualcosa da dire. (Pubblicato in Babilonia, febbraio 2003).

[Ringrazio l’Ufficio Stampa del CTB Teatro Stabile di Brescia per aver reso possibile questa intervista.]

Stefano Bolognini ⋅

2 commenti

  1. paulo

    Riposa sotto una terra lieve…dolce signore.

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